Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Nomenclatura furiosa

Cosa rischia Renzi dopo i due ceffoni alle feluche e ai consiglieri di stato

Salvatore Merlo
I diplomatici compulsano la graduatoria stravolta dalla nomina di Calenda. A Palazzo Spada panico da rottamazione. Strappi, scortesie, catena corta.

Roma. “L’incarico di Carlo Calenda è frutto di una misura eccezionale, adottata in circostanze particolari”, ha detto di fronte alla commissione Esteri della Camera. E non appena le parole del sottosegretario Enzo Amendola, ieri, sono arrivate alla Farnesina, al ministero, e si sono diffuse tra i diplomatici di carriera che hanno osservato con disappunto la nomina del viceministro Calenda alla guida della Rappresentanza italiana a Bruxelles, qualcuno ha sorriso, ma di un ghigno dolente, un umano cedere dei muscoli che mutano i connotati: “Misura eccezionale per circostanze particolari… Perché noi non siamo forse in grado di gestire queste ‘circostanze particolari’?”, ironizza un ambasciatore di riconosciuta onestà e sobrietà.

 

E da qualche giorno, consoli, ambasciatori e funzionari sporcano le loro giornate di sguardi combattivi, movimenti gravi, pensieri malinconici. I più giovani compulsano “il bollettino”, il libro che arreda tutte le stanze di tutti i diplomatici italiani: è la bibbia gerarchica, la graduatoria. Confrontando nomi, posizioni e punteggi riassunti in questo libro, ciascuno può costruire e persino immaginare il suo destino: l’impiego più o meno prestigioso, la sede ambita o quella disagiata, “quanta gente c’è prima di me?”. Tutto un cosmo ordinato, con un suo codice, delle regole, persino una presunzione di eternità che tuttavia la nomina di Carlo Calenda, “il politico fatto diplomatico”, adesso manda per aria: “Renzi sceglierà così anche per New York? E lo farà pure per Tripoli, quando sarà il momento?”, si chiede il nostro anonimo ambasciatore, uomo che possiede il pessimismo dell’intelligenza e che dunque si dà anche una risposta: “E’ ovvio che lo farà”. Renzi dunque, il più odiato dalla nomenclatura. Dalla Farnesina, fino al Consiglio di stato. Dove ha stravolto la consuetudine, anche lì.

 

[**Video_box_2**]E anche a Palazzo Spada, sede del Consiglio di stato, si sollevano sopraccigli, si sbuffa per il vento della rottamazione, per la catena di comando corta e un po’ bullesca che ha invaso brutalmente i corridoi di questa residenza barocca e magnifica che ospita la prospettiva del Borromini. A dicembre Renzi ha stravolto la prassi, e nel momento in cui gli sarebbe toccato di ratificare la nomina del nuovo presidente del Consiglio di stato, anziché accettare il nome proposto dai togati, ha preteso che i consiglieri gli sottoponessero una rosa di cinque alti magistrati tra cui scegliere. E i consiglieri riuniti, hanno così indicato al presidente del Consiglio cinque nomi, cinque serissimi magistrati e presidenti di sezione, mettendoli in fila, uno dietro l’altro su un foglio di carta, seguendo un burocratico e severo criterio di preferenza, secondo una logica antica e invincibile che ha un corollario fondamentale e cioè che è il più anziano a dover fare il presidente, anche se per poco tempo, in modo tale che, poi, ciascuno abbia a sua volta l’opportunità, avvicinandosi l’età della pensione, di ricoprire l’incarico. Tutto un meccanismo, una prassi e una grammatica di cui Renzi si è impipato con spicciativa crudeltà: ha saltato a piè pari il primo nome, quello del candidato più anziano e preferito dai colleghi consiglieri (Stefano Baccarini, che si è dimesso in polemica), per tirare fuori dal mazzo quello di Alessandro Pajno. Ironizza allora un consigliere di stato tra i più smagati per aver lui avuto lunga esperienza di frequentazioni politiche e ministeriali: “Uno dei libri preferiti da Renzi è ‘L’arte di correre’ di Murakami Haruki, che mirabilmente sintetizza curiosità letteraria e disposizione podistica. Ecco, Renzi corre, fa come gli pare, ma prima o poi dovrà fermarsi. La burocrazia, prima o poi, gli servirà. Serve a governare, e serve a non fare pasticci”. La burocrazia, dunque, quella cosa indefinita e necessaria, magma e sostanza, lievito e piombo, ali e zavorra, capace di farsi anche minacciosa. E qualcuno, intorno al presidente del Consiglio, comincia infatti a temere questi fronti aperti e queste troppe sfide, e funamboliche. Non solo il Consiglio di stato, ma pure i diplomatici, anche la Farnesina. Nel groviglio dell’altissima burocrazia, ministeriale e non, diplomatica e giudiziaria, in quell’ammasso prezioso e inestricabile di direttori generali, segretari non meno generali, presidenti e consiglieri di stato, ambasciatori e capi dipartimento, ci si può anche perdere per sempre. Nessun decisionista d’Italia è finora riuscito a debellare, ad addomesticare la nomenclatura. Ma forse nessuno l’aveva sfidata così tanto. E senza nessun riguardo. Nemmeno formale.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.