Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi e l'arte di crearsi un nemico giusto per ogni stagione

David Allegranti
I sindacati, la minoranza, l'Unione europea. Gli avversari creati ad hoc dal premier sono sempre come i bisogni per Steve Jobs: indotti. Il caso della riforma del Senato.

Roma. L’arte di farsi dei nemici può essere ambivalente. Il nemico si può inventare, creare, oppure qualcuno può diventare tale per propria iniziativa. Matteo Renzi di solito preferisce la prima opzione. Il nemico migliore è quello che ci si sceglie, come insegnava anche il miglior Berlusconi, vedi quei comunisti variamente declinati (giudici, intellettuali, D’Alema). Sono settimane che il presidente del Consiglio ha trovato nuovi bersagli in Europa. Una volta è la Germania, un’altra volta l’Unione europea (Bruxelles ladrona, Rignano non perdona!), un’altra volta ancora è il capogruppo del Ppe Manfred Weber, trattato come una Rosy Bindi qualsiasi. A un certo punto, gli hanno scatenato contro pure Nicola Danti, europarlamentare, già scudiero renziano dai tempi della Margherita a Firenze, quando veniva mandato in avanscoperta contro i Ds. Solo che ora non c’è di mezzo qualche comunità montana o qualche candidato sindaco da piazzare nella bilancia delle spartizioni amministrative fra post-comunisti e post-democristiani.

 

Il Danti ha pure scritto un’interrogazione contro Martin Seylmar, capo di gabinetto del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, accusandolo di far filtrare comunicazioni riservate. Tecnica già sperimentata in passato dai renziani: nel 2009, durante la campagna elettorale per le amministrative, ogni tanto saltavano fuori comunicati tonitruanti contro gli avversari, come Giovanni Galli, l’ex portiere scelto dal centrodestra, firmati da Francesco Bonifazi (di cui però lui non sapeva neanche l’esistenza; erano preparati dallo staff renziano, ma uscivano con la firma del futuro tesoriere del Pd).
I nemici di Renzi in alcuni casi sono come i fascisti di Filippo Rossi e Luciano Lanna, sono gufi immaginari oppure bolliti, nel senso di decotti, sono Franco Marini candidato alla presidenza della Repubblica o l’Anna Finocchiaro immortalata con carrello dell’Ikea in compagnia della Batmobile. Altre volte i nemici si chiamano Luigi Di Maio, subito identificato come interlocutore (ed è il segnale che Renzi vuole fregarti e sa come farlo) oppure Matteo Salvini (perfetto per far sembrare di sinistra chiunque lo sfidi). A Firenze, Renzi trovò come nemici perfetti Lapo Pistelli, di cui era stato portaborse in gioventù, e Michele Ventura, il candidato “mandato da Roma” (dove si erano dimenticati che era finita l’epoca del “toh, stasera c’è D’Alema in tv, fammi sentire che cosa penso”).

 

[**Video_box_2**]Quei nemici sono per lui il grimaldello da usare per passare alla fase successiva, come in un videogame in cui i mostri finali sono D’Alema o Bersani. Sicché, c’è un nemico giusto per ogni stagione. I nemici per Renzi sono come l’ultimo modello di iPhone: ogni sei mesi ce n’è uno nuovo, uno di cui fino al giorno in cui è uscito non ne sentivi la necessità. E i nemici renziani sono come i bisogni per Steve Jobs, indotti. Vale per i sindacati, piegati già a Firenze quando c’era da pedonalizzare piazza del Duomo o da scrivere ordinanze per permettere la libertà d’apertura il Primo Maggio. Vale anche per i congressi del Pd, vinti al grido della rottamazione contro i Bersani (per Firenze lo slogan invece fu “facce nuove a Palazzo Vecchio”, ma il concetto era lo stesso). L’importante è che colui che va a votare senta di star acquistando il prodotto giusto. Il Senato è l’iPhone 10S. All’elettore magari non gliene sarebbe fregato un granché di riformarlo, se non fosse arrivato Renzi a fare quel discorso ai senatori trattandoli come tacchini il giorno di Natale, quando ha deciso che simbolo migliore non poteva esserci per avviare la prossima campagna elettorale. Dunque ne ha trasformato l’abolizione in un referendum su (e contro) se stesso. Che il nuovo e più temibile nemico di Renzi sia proprio Renzi?

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.