Gianni Cuperlo e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Ecco cosa vuole davvero la minoranza del Pd

Redazione
Il congresso anticipato, l'abdicazione di Renzi e l'arma del referendum sulle riforme istituzionali. Note a margine della direzione del Pd

"Io penso che le direzioni del Pd non siano un vuoto esercizio dialettico e verbale, penso siano occasioni per dirci come stanno le cose”, dice a un certo punto Matteo Renzi osservando la platea dei parlamentari e dei dirigenti che lo ascoltano, riuniti nella direzione nazionale del partito. Così quando prende la parola Gianni Cuperlo, con il solito stile efficace da ragazzo cresciuto nella Fgci, ecco che di fronte al segretario del Pd (e presidente del Consiglio) si srotola il cahier de doleance della minoranza interna: “Vedo con allarme l’allargamento del nostro recinto”. E certo Cuperlo si riferisce a Denis Verdini, ai voti del suo piccolo gruppo parlamentare, alla rottura dei rapporti con Nichi Vendola, e poi all’intervista con la quale Angelino Alfano, aderendo con fare renziano al referendum, stamattina individuava questa consultazione come un “filtro” destinato a rimodellare i partiti e gli schieramenti. “La distanza si fa profonda sulla natura e la vocazione del nostro partito”, ha detto Cuperlo. “Oggi è la maggioranza ad assumersi la responsabilità di uno scarto che può squassare il partito e senza peraltro avere alcuna legittimazione congressuale”. Ed ecco la parola magica: congresso. 

 

Un sogno, un obiettivo forse da anticipare. “Caro Matteo”, chiede infatti Cuperlo, “sei in grado di esercitare il ruolo di segretario del Pd? Intendiamoci, non dico che tu non ne abbia le capacità, ma la giornata è composta di 24 ore per tutti. E allora sei in grado di occuparti del governo e anche del partito? Se sì, fallo. Guidalo, organizzalo e strutturalo questo partito. Altrimenti prevarrà il notabilato locale. E un partito, caro Matteo, è selezione della classe dirigente”. E insomma il messaggio, dopo una serie d’interviste sui quotidiani rilasciate da Roberto Speranza, è chiaro, e Renzi lo ha decodificato da tempo: la minoranza alza la voce, vorrebbe anticipare il congresso (per adesso previsto nel 2017) e usa tutte le cartucce disponibili (Alfano, Verdini, Sel, il referendum sulle riforme istituzionali definito “plebiscito”).

 

Cuperlo, Speranza e compagni sono pronti a misurarsi in un congresso anticipato, dunque, ci sperano. Ma usano anche questa allusiva richiesta come strumento, come mezzo, come fosse una leva per ottenere – in alternativa – un’improbabile abdicazione di Renzi dalla segreteria del Pd (“sei in grado di esercitare il ruolo di segretario?”). Un’ipotesi, questa dell’abdicazione, che la minoranza non ritiene irrealistica, confidando forse anche su una convergenza con la corrente dei giovani turchi guidata da Matteo Orfini e Andrea Orlando. Tuttavia, la sola idea di lasciare la segreteria fa sorridere di sufficienza Matteo Renzi. Per lui, che fa del doppio incarico di segretario e presidente del Consiglio la ragione della propria forza e della propria legittimazione, la sola idea di mollare la tolda di comando del partito è un periodo ipotetico dell’ultra irrealtà. E allora quali alternative restano alla minoranza agguerrita? Poche.

 

[**Video_box_2**]Per la prima volta Cuperlo ha alluso alla scissione (“Oggi è la maggioranza ad assumersi la responsabilità di uno scarto che può squassare il partito”, ha detto in direzione). Ma quella di cui parla Cuperlo è evidentemente una scissione non organizzata, verrebbe da dire quasi “preterintenzionale”: nessuno, dopo Fassina e Civati, è seriamente interessato a lasciare il partito. Solo che la riconquista cui spesso in questi mesi si sono riferiti sia Massimo D’Alema sia Pierluigi Bersani (“Prima o poi ce lo riprenderemo il Pd”) è una montagna ardua da scalare, quasi impossibile. A meno che Renzi non fallisca nel suo lavoro a Palazzo Chigi. Così fosse, se il governo cadesse, venendo meno il ruolo di presidente del Consiglio si indebolirebbe parecchio anche quello di segretario. In attesa del congresso del 2017, al momento, è questa l’unica occasione possibile di “riconquista” per la minoranza. A ottobre si vota il referendum sulle riforme istituzionali. E Renzi ha detto che “se perdo il referendum sulle riforme trarrò le conseguenze”. Ecco l’occasione. Ma chissà.