Come si vive da senatori nel giorno della morte del Senato. Facce e confessioni

Salvatore Merlo
In Aula pochi senatori, tanti sbadigli e il carrello dei bolliti

Roma. “A febbraio del 2014 avevo esordito proprio qui dicendo: ‘Voglio essere l’ultimo presidente del Consiglio che chiede la fiducia a quest’aula”, dice Matteo Renzi abbracciando con lo sguardo i banchi mezzi vuoti del Senato, “e se oggi l’Aula confermerà il voto già espresso ad agosto, quella provocazione diventerà realtà”. E per un attimo l’aula sonnecchiante ha un sussulto, dai banchi di Grillo si sente persino arrivare una pernacchia, ma è solo un attimo, poi tutto si ricompone negli sbadigli e negli stiracchiamenti di questo Senato che vota la sua scomparsa, la sua mutazione genetica, ma lo fa un po’ così, senza meraviglia e senza slancio, senza troppi applausi e senza veri strepiti, senza neppure quella tristezza vasta e avventurosa che di solito accompagna le azioni gravi. Alla bouvette Paola Taverna, senatrice a cinque stelle, indossa un paio di jeans con tasche anteriori catarifrangenti, tipo i segnali dell’Anas. “Io ho studiato tutto il diritto costituzionale”, premette. “E pure quello pubblico”, aggiunge. “Guarda, questi senatori sono dei vermi. Mi fanno vomitare, scrivilo. Andiamo verso la dittatura”. La dittatura? “Sì, la dittatura”. E allora da un angolo il senatore Stefano Esposito, del Pd, ascolta, poi solleva un sopracciglio, e sibila: “Se non fanno scena loro vuol dire che qualcuno li ha drogati…”. Intende dire sedati, senatore. “No, no, drogati, drogati. Sono dei drogati”. E sono solo questi spasmi aggressivi a suscitare rare parvenze di mobilità, segnali di vita, contrazioni nervose in qualcosa che già non c’è più, che è stata amputata. Le mancherà il Senato? “No”, soffia Antonio Azzollini, Ncd, avvocato cassazionista indagato per truffa dalla procura di Trani. “Francamente me ne infischio. Ma la riforma non la voto. E ora me ne vado anche a casa”, annuncia, mentre indossa il suo cappello floscio, si avvolge nella sciarpa, e guardando i (pochi) colleghi esclama: “Ciao popolo!”. A un certo punto la scena si fa icastica: si vede infatti un commesso che in livrea bianca attraversa il salone Garibaldi, dove i (pochi) senatori parlottano tra loro. Vestito come un infermiere, il commesso spinge un grosso carrello coperto, una specie di barella da esame autoptico. “Arriva stupendamente a proposito”, ride Miguel Gotor, senatore della minoranza Pd, braccio destro di Bersani. E perché a proposito? “Perché quello è il carrello dei bolliti”. Ecco.

 

Intanto al piano terra del Senato si fanno prove di resistenza, all’incirca. In una piccola aula vanno in scena, una dopo l’altra, due differenti conferenze stampa, una di sinistra e una di destra. Entrambe annunciano la costituzione di due diversi comitati per il “no”, contrari cioè al referendum che a ottobre dovrà approvare o bocciare quella stessa riforma che però al piano superiore provoca tanti sbadigli. La scena è degna di nota. Di fronte ai giornalisti c’è Renato Brunetta, l’ex ministro di Berlusconi, che dice: “Il ‘no’ al referendum sulle riforme ha circa il 70 per cento dei consensi se contiamo il centrodestra, il Movimento Cinque Stelle, Sinistra italiana-Sel e la contrarietà di settori dello stesso Pd”. In platea, ad ascoltarlo, c’è Giovanni Russo Spena, ex deputato e capogruppo di Rifondazione comunista, che annuisce sorridendo. E’ un po’ strano, in effetti. “Ma te rendi conto?”, ride Loredana De Petris, spiritosa capogruppo di Sel al Senato. “Chi me lo doveva dire a me? L’ho prenotata io l’aula, anche per quelli della destra”. Allora vi parlate? “Eccerto”. Ma non è un po’ come il bar di Guerre Stellari, Vendola e Brunetta, Zagrebelsky e Giorgia Meloni? “Se è per questo anche il fronte del ‘Sì’ è come il bar di Guerre Stellari, lì c’è Denis Verdini assieme a Gianni Cuperlo”.

 

[**Video_box_2**]A proposito di Verdini. Solo Denis ha l’aria sbarbata delle grandi occasioni: si frega le mani, sa che i suoi voti oggi, sulla riforma, potrebbero essere importanti, decisivi per la maggioranza. E infatti per meglio garantirli, questi numeri, Verdini ha appena conquistato nel suo gruppo parlamentare, che si chiama Ala, una ormai ex senatrice del M5s, la bolognese Adele Gambaro. E si torna a Guerre stellari. “Ma non si potrà avere nostalgia di quest’aula di analfabeti”, dice Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato. “Talvolta, quando presiedo, senza farmi vedere io leggo dei libri di poesia, per non intristirmi la mente. Ogni tanto butto un occhio all’Aula. Guarda che non si può fare altrimenti. E’ una forma di difesa. Sennò diventi analfabeta pure tu”. E insomma non c’è nessuna sollennità in questo crepuscolo. Alla fine la riforma passa: 180 sì, 112 no e un astenuto. Il Senato forse è morto, ma poiché si è fatta una certa i senatori vanno a cena.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.