Un frame del video pubblicato sulla sua pagina Facebook da Alessandro Di Battista

I grillini travolti dalla macchina del sospetto che loro stessi hanno creato

Redazione
I tentativi di distinguo dei “tre moschettieri” del M5s sul caso Quarto, la nemesi che colpisce il partito di Casaleggio e una vicenda modesta che rischia di investire moralisti e giustizialisti a cinque stelle.

Fanno quasi tenerezza i tentativi dei tre moschettieri del Movimento 5 stelle di divincolarsi dalla trappola del “non poteva non sapere”. Da quella trappola, architrave del deprecabile edificio della cultura del sospetto, non c’è uscita. Se il dirigente politico chiamato in ballo sapeva e non è intervenuto è correo (di che cosa poi non si sa), se non sapeva è colpevole di mancata vigilanza, questa è l’altra interpretazione del “non poteva non sapere” che rende impraticabile qualsiasi difesa. Luigi di Maio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico sono esperti di questa tattica accusatoria, che hanno impiegato in tante occasioni impancadosi a giudici: ora la nemesi li colpisce e non sanno come fare a uscirne.

 

La loro idea della “responsabilità politica”, notte in cui tutti i gatti sono grigi, è stata applicata in modo indiscriminato a tutti gli avversari. Ora che tocca a loro si diffondono in sottili distinguo, lamentano l’interpretazione parziale e faziosa delle intercettazioni, denunciano le “macchine del fango” che sarebbero state messe in funzione contro di loro. Ma nella logica giustizialista non c’è scampo per nessuno, anche perché invocare garanzie di oggettività è sempre considerata un’aggravante. D’altra parte essi stessi applicano alla prima cittadina di Quarto il teorema del non poteva non sapere.  A Rosa Capuozzo è stato intimato di dimettersi per non aver denunciato il ricatto di cui sarebbe stata vittima da parte di un consigliere comunale del quale si sono poi scoperti i collegamenti con la criminalità organizzata. Ma chiunque conosca un minimo l’andamento di una attività amministrativa sa che le pressioni per una delibera o per una concessione, le minacce di rottura politica quando ci sono dissensi nel merito, sono assolutamente fisiologiche. Che le pressioni diventino minacce, le minacce ricatti, i ricatti intimidazioni mafisose, in un crescendo infernale, può avere un senso nell’esasperazione mediatica, ma per diventare argomento per un giudizio politico – per non dire giudiziario – dovrebbero essere accompagnate da una certezza della conoscenza preventiva. Ma se per la Capuozzo vale il teorema del “non poteva non sapere” della “responsabilità politica”, questo stesso teorema si ribalta sulla troika grillina.

 

[**Video_box_2**]Così una vicenda piuttosto modesta, di cui non si sa nemmeno se presenti qualche profilo di illiceità, diventa una valanga. Il fatto che questa volta possa travolgere i moralisti e i giustizialisti può suscitare qualche comprensibile sorriso di compiacimento, ma non cancella il valore delle garanzie, della presunzione di innocenza, che è il contrario della presunzione di colpevolezza contenuta nell’espressione tanto lodata secondo cui “non basta essere onesti, bisogna anche apparirlo”. Se è così, basta un’insinuazione ben costruita per distruggere una persona e una legittima prospettiva di carriera. Poi, si può solo denunciare a vuoto complotti o macchine del fango, ma nel regime del sospetto nessuno si potrà mai salvare.

Di più su questi argomenti: