Quello che potrebbe nascere se la giunta Pisapia riuscirà, entro domani, a rimpannucciare la sua maggioranza e far approvare la delibera per la riqualificazione degli scali ferroviari dismessi

C'è un “fiume verde” a Milano che dovrebbe interessare il Pd

Maurizio Crippa
Gli scali Fs, il dopo Expo, la metropoli. Perché la sinistra deve pensare in grande. Chiacchierata con Stefano Boeri

Milano. “Sarebbe una grande tristezza se quel grande ‘fiume verde’ che potrebbe scorrere come un anello di biodiversità nel tessuto di Milano finisse nel nulla, per una questione di scaramucce elettorali”. Il grande “fiume verde” – che poi non sarebbe soltanto verde, ci sarebbero uffici, edilizia privata, housing sociale, strade ponti e quant’altro: insomma un pezzo di città – è quello che potrebbe ancora nascere se la giunta Pisapia riuscirà, entro giovedì 17, a rimpannucciare la sua maggioranza e far approvare la delibera sull’accordo tra il comune e le Ferrovie dello stato per la riqualificazione degli scali ferroviari dismessi, bocciato settimana scorsa per un “incidente d’aula” che proprio incidente non è, nonostante Pd e Sel assicurino la massima compattezza.

 

Stefano Boeri, architetto, urbanista, tessera del Pd in tasca ed ex assessore della giunta Pisapia, guarda la faccenda non da lontano, non dall’alto di un grattacielo, ma per così dire, e ci tiene a dirlo, da osservatore non giocatore. Conosce a grandi linee il piano dell’accordo sugli scali, osserva le scaramucce politiche del momento. Ma preferisce guardare da urbanista. E quello che nota è che “sarebbe un peccato che un progetto così importante per la città saltasse, perché quello sugli scali dovrebbe essere invece un progetto simbolo: è il secondo intervento territoriale e urbanistico più importante di Milano, assieme al futuro dell’area Expo”. Anzi, più importante: “Dimmi se esiste un’altra città in Europa che abbia a disposizione due aree così grandi, un totale di oltre due milioni di metri quadrati di cui più della metà nella cerchia cittadina, da rivoluzionare e riqualificare. C’è da cambiare il volto di una città, la possibilità di riportarla all’avanguardia tra le grandi metropoli mondiali”. Beninteso, il progetto della giunta Pisapia può piacere o no. Per il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale, Pietro Tatarella, è “un accordo di programma arrogante… un progetto immobiliare, senza restituzione alla città”. Ma, comunque lo si giudichi, è una sfida politica in grado di cambiare i connotati della metropoli e anche di determinare un percorso e una visione politica. Che c’entrano gli scali Fs con il burrascoso pre-campagna elettorale che la sinistra sta giocando a Milano? Anche niente, o forse molto. Niente, nel senso che il tipo di candidato che la sinistra sceglierà per sé esula da questa chiacchierata, e dal problema. Molto invece, perché saper immaginare e progettare, in un modo oppure in un altro, una visione del futuro sono la sfida che le due sinistre (Balzani o Sala?) si giocano. O dovrebbero. Questione di culture politiche, insomma.

 

“Milano ha davanti a sé una occasione straordinaria”, ragiona Boeri, “ma la prima cosa che la sinistra dovrebbe tenere presente pensando a ciò che vuole fare è la sua dimensione di città metropoli regionale. La giunta Pisapia ha fatto bene sotto il profilo della riduzione delle diseguaglianze, della qualità della vita, della trasparenza. Ma spesso è mancato il coraggio dell’innovazione, cioè la capacità di far convergere su un progetto comune le azioni  dei singoli stakeholder. L’integrazione tra solidarietà – nel senso di generosità sociale – e innovazione è il Dna che ha fatto grande Milano nei momenti delle sue grandi trasformazioni. E questo è uno di quelli. E’ il Dna della sinistra riformista milanese. Bisogna pensare  a questo, a mettere insieme le energie di sviluppo urbanistico, gli investitori, le università, le comunità di quartiere. E pensare in grande. Ad esempio, in questi anni s’è fatto bene sulla mobilità, ma ora serve pensare a un’area metropolitana, anzi a una ‘regione milanese’ da 4 milioni di abitanti che arriva a Lodi, Varese, Bergamo. Per questo gli scali dovrebbero essere un tema simbolo della campagna elettorale della sinistra”. Invece, il dibattito delle idee sembra un po’ fermo, no? “Mi auguro che parta. E proprio dentro la sinistra. Ad esempio, per stare agli scali – oltre all’edilizia potrebbero diventare una sorta di cintura della biodiversità nel corpo di Milano – sono un’occasione unica di progettazione ambientale e di sviluppo di un mix sociale, di arricchimento dei quartieri, di apertura di connessioni tra comunità diverse. Un mix calibrato su standard edilizi anche più bassi di quelli attuali, che introdurrebbe una compensazione sociale e culturale portando servizi dentro parti di città (penso ai complessi di edilizia popolare) che ne sono privi. Poi, ovviamente, ci sono le questioni di mercato immobiliare, economiche, di investimento da considerare. Il dopo Expo è questo: un progetto ugualmente capace di dare un ritmo comune alle energie di Milano”.

 

[**Video_box_2**]A proposito di area Expo: Matteo Renzi ha fatto una proposta, la reazione di Milano è stata di mettersi un po’ sulla difensiva, a partire dalle Università. “I progetti mi sembrano buoni, occorrerà svilupparli. Soprattutto non vedo perché lamentarsi: visto che colpevolmente,  nessuno aveva ancora organizzato un piano vero. Ma è che ancora non ci sia una cabina di regia permanente – che altro dovrebbe essere, in fondo, la città metropolitana? – per il dopo Expo, per decidere del polo universitario scientifico, per coordinare i settori di innovazione e le aree biotecnologiche e delle biodiversità”. La campagna elettorale, secondo Boeri, deve essere luogo di elaborazione di tutto questo. Ma sembra che lo “spirito dell’Expo” sia un po’ svanito. Invece serve, al di là del campanilismo della capitale morale: “Che mi sembra un po’ ipocrita: l’Expo è stata energia milanese, ma se non ci fossero stato il contributo di Roma, e il lavoro di Cantone, non saremmo riusciti ad aprirla. Ora serve lo stesso metodo”.  Però, da architetto, vede un esempio che è il contrario. “La Triennale Architettura di Milano del 2016, che è l’istituzione culturale più importante che abbiamo, avrebbe dovuto sfruttare il dopo Expo e la questione degli scali per farne il proprio tema, per fare di Milano un laboratorio di innovazione mondiale. Invece il Comitato scientifico, di fatto, si è spartito le aree per organizzare ognuno una sua mostra. Questo è mancanza di regia, di politica, un vero peccato. Bisogna iniziare a capire che la sfida politica, anche per la sinistra, di queste elezioni, è pensare a una regia coraggiosa e autorevole per il futuro di Milano”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"