Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Opposizioni sfiduciate

Redazione
Una sfiducia, mille mozioni. Il caso banche, i dubbi del Cav. e il rischio boomerang per il fronte anti Boschi

Roma. Mozione di sfiducia, sì, no, forse. E così nel pomeriggio di un giorno confuso, Matteo Salvini si presenta scatenato alla “Zanzara”, aderisce come una muta da sub al format radiofonico di Giuseppe Cruciani, e dunque la spara enorme: “Certo che c’è un legame diretto tra il governo e la morte di Luigino D’Angelo”, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso i suoi investimenti in Banca Etruria. “Abbiamo già pronta la sfiducia”, dice Salvini, “non solo alla Boschi, ma a tutto il governo, anche al presidente del Consiglio Renzi, con l’auspicio di trovare il sostegno di tutte le opposizioni”.

 

Ma le opposizioni sono un caleidoscopio, un’entità inafferrabile, che esprime umori, linguaggi, strategie e orizzonti diversi. E infatti mentre Renato Brunetta, prolifico capogruppo di Forza Italia alla Camera, fa avanti e indietro nella saletta delle conferenze stampa di Montecitorio attirando giornalisti come la carta moschicida e rivelando loro che “domani tutto il centrodestra unito presenterà una mozione di sfiducia contro il governo sia alla Camera sia al Senato”, Paolo Romani, cioè l’altro capogruppo, quello di Palazzo Madama, solleva un sopracciglio e a pochi metri da Brunetta mormora, appena udibile: “Non sono sicuro che sia una buona idea”.

 

Alla fine nel partito del Cavaliere qualche buontempone ricorda quel personaggio televisivo di Corrado Guzzanti che diceva: “Siamo la Casa della Libertà, e ognuno fa un po’ come gli pare”. Dice allora Maurizio Gasparri: “Va tutto bene, ma basta decidere. Avessimo un luogo dove si decide!”. Ma il luogo in realtà c’è, ed è Arcore, Villa San Martino, dove ieri, a tarda sera, era previsto un vertice tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E anche quello di Arcore è un concerto polifonico, e non solo per l’intricata questione delle candidature alle amministrative (“Allora, cara Giorgia, ti candidi sì o no a sindaco di Roma?”).

 

Il Cavaliere ha le sue cautele e le sue mire, non vuole mischiarsi con i Cinque stelle – che presentano anche loro una mozione di sfiducia – ed è abbastanza scafato, spigliato, esperto di meccaniche parlamentari, da considerare ogni cosa (anche la minaccia un po’ scarica d’una mozione di sfiducia) come materia di scambio nel mercato della politica, tutte cose che il suo alleato Salvini non capisce fino in fondo, legato com’è a uno spartito che deve mantenersi su toni alti, sforzati, da talk-show in felpaccia, anche a detrimento di piccole ma significative conquiste di potere come la nomina dei nuovi giudici della Corte costituzionale. E infatti è questa l’obiezione di Paolo Romani, ma anche di molti altri in Senato: da settimane sono iniziate acrobatiche e confuse trattative per sbrogliare l’impasse alla Consulta, trattative tra il Pd e Forza Italia, un gioco diplomatico che la mozione di sfiducia al governo evidentemente complica (“e se tutto deve saltare in aria”, suggerisce Gasparri, “va bene, ma il gioco deve valere la candela”). E insomma nelle intemperanze di Salvini, negli impeti di Brunetta e nelle cautele di Romani e di Berlusconi, si specchiano gli interessi divergenti della politica e della propaganda, del marketing elettorale e della carambola di potere, forse persino umori e antipatie personali. “A che serve presentare una mozione di sfiducia che di sicuro non passa?”, suggeriva ieri Altero Matteoli al Cavaliere, mentre l’effetto confusione montava e Raffaele Fitto, che mantiene ancora rapporti cordiali con Denis Verdini, poteva rilevare facili contraddizioni: “Che il centrodestra faccia giustizialismo, si scagli (non è uno scherzo!) contro i ‘conflitti di interesse’, e insegua i grillini, è l’ennesima prova di una totale mancanza di strategia che spaventa. Un centrodestra così è una polizza di assicurazione sulla vita per Renzi”.

 

[**Video_box_2**]Ed è in questo clima per così dire confuso che ieri sera la conferenza dei capigruppo del Senato ha respinto la calendarizzazione della mozione di sfiducia individuale promossa dal movimento di Grillo contro Maria Elena Boschi, un voto in cui i destini di Lega e Forza Italia si sono separati: la Lega ha votato con il Movimento cinque stelle, Forza Italia si è invece opposta, con momenti di tensione tra Romani e Gian Marco Centinaio, il capogruppo di Salvini a Palazzo Madama. Ma d’altra parte le indicazioni del Cavaliere non erano in sintonia né con gli umori guerrieri di Brunetta né con la sceneggiatura roboante di Salvini. “Siamo sempre stati contrari alle mozioni di sfiducia individuali”, spiega Deborah Bergamini, uno dei dirigenti di Forza Italia più vicini a Berlusconi. E la verità è che  il Cavaliere non ha ancora deciso cosa fare con il suo turbolento alleato leghista. A volte ne subisce l’energia giovanile, ma a tratti lo considera pure inconcludente, eccessivo, acerbo, sordo a tutta quella sofistica di rapporti e di equilibri, fatti anche di strategie e di omissioni, che compone le regole basilari della gestione del potere a ogni latitudine. Così ancora ieri sera, ad Arcore, si stava in altalena: sfiducia sì, no, forse.