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Non toccate le primarie

Marianna Rizzini
Parisi spiega l’errore di trasformare i gazebo nella conferma pubblica di una decisione già presa in privato.

Roma. Sono giorni difficili per le primarie, ormai sinonimo di intoppi a catena. E l’annuncio della candidatura di Antonio Bassolino a sindaco di Napoli ha fatto da detonatore, nel Pd, al conflitto nascosto dietro allo strumento. Come se ne esce? Arturo Parisi, ex ministro e ideologo dell’Ulivo nonché “importatore” delle primarie in Italia, dice che il problema si risolve “solamente scegliendole definitivamente. Non basta dire che si fanno perché sono nello Statuto. Bisogna riscoprire la ragione che è alla loro base e farla nostra. E prima ancora riconoscere che undici anni fa sono state strappate”, e che non sono “cadute dall’Ulivo come un frutto maturo: strappate dagli ulivisti sotto la guida di Romano Prodi al tavolo dei capipartito, a nome di cittadini che, seguendo sui teleschermi lo svolgimento della democrazia americana, si chiedevano perché anche noi non potessimo fare lo stesso”. Poi le primarie sono state “iscritte nello Statuto di un partito omonimo di quello americano. Ma pur sempre strappate”.

 

Dietro “a tutte le trappole”, dice Parisi, c’è “l’impossibilità di non farle e, ogni volta, la ricerca del modo in cui rimangiarsele”, e “la tentazione di trasformarle al massimo nella conferma pubblica di una decisione già presa in privato”, con “rinvio delle date fino al limite estremo, regole che mutano ogni volta, seggi aperti alle primarie a elettori che non voteranno mai alla secondarie, ricerca di un candidato unitario circondato da figuranti contenti solo di fare per un momento la loro figura. La vecchia logica della democrazia cooptativa sopravvive nel linguaggio dietro alle parole della democrazia competitiva. Che sia il turno di Bassolino o di altri conta poco”. Il caso Bassolino svela la riottosità d’antan verso lo strumento: “Bassolino si è ‘auto-candidato’, dicono. Non è ‘il candidato del partito’, ‘il candidato ufficiale’. ‘Il’, sempre ‘il’. In un mondo ossessionato un tempo dal ‘noi’ e dal plurale, per un momento sono troppi a gareggiare a chi usa il singolare”.

 

Ma chi sono i ribelli antiprimarie nascosti? “Quelli che le subirono in silenzio, consapevoli che con esse faceva il suo ingresso anche in politica la trasparenza della competizione, e la necessità di assumersi la responsabilità di una proposta alzando la mano in prima persona. Poi ci sono quelli che non soffrono perché tanto pensano che non ci sia regola che, opportunamente manipolata, possa impedire loro di vincere – neppure il sorteggio – e che un tempo si sono quindi precipitati a proporre (a parole) le primarie come fossero la loro bandiera”. Tra i riottosi non dichiarati, Parisi mette anche “i molti” che “senza le primarie mai avrebbero superato nel loro volo il muro del suono, e invece sono tentati di scalare di marcia anche a rischio di schiantarsi per la perdita di velocità”. Ma allora, pensa il profano, non sarebbe meglio eliminarle, le primarie? “Ma certo”, dice Parisi, a cui è capitato in passato di “spazientirsi al punto di dirlo”. Ma poi “chi va a dirlo ai cittadini?, per di più a nome di un partito che ha affidato e affida sempre più la sua identità a quella ‘D’ che sembra alludere a nient’altro che alla battaglia per la difesa e l’espansione della Democrazia?”.

 

[**Video_box_2**]E come potrebbe dire una cosa del genere “un segretario eletto con le primarie?”, si domanda Parisi: “Immaginatevi se, appena due anni fa, qualcuno avesse accusato Renzi di essersi ‘auto-candidato’ o di non essere ‘il candidato ufficiale’. Ecco perché escludo che l’ambizione della rivoluzione renziana possa confondere la rottamazione dei politici, in gran parte alle nostre spalle, con quella della politica che è ancora al suo inizio”. La crisi delle primarie, dice l’ex ministro prodiano, nasconde un’altra “verità”: “Una volta finito il tempo delle ideologie, delle storie gloriose dei martiri, delle investiture esterne, le primarie, proiezione del metodo democratico che vale all’esterno nella vita interna di un partito, rappresentano l’unico principio d’ordine e di legittimazione che può difenderci dal caos e dare alla proposta politica un fondamento. Fuori di questo, un partito può affidarsi solo a un padrone o al carisma, ambedue destinati a durare per il tempo in cui durano i soldi, la forza, o la grazia, e, prima ancora, la vita di chi ne è investito”. Matteo Renzi, alla direzione del Pd, ha parlato di “moratoria” fino a gennaio. “Scelta saggia”, dice Parisi, “purché serva a far ripartire le primarie sulla base di una scelta rinnovata e consapevole. E a condividere con le coalizioni, che restano ancora da costruire città per città, regole, procedure e percorsi che continuiamo a raccontare impropriamente come competenza esclusiva del Pd”. Nonostante la confusione, Parisi è ottimista: “Io so che l’affermazione di un istituto rivoluzionario richiede del tempo. Fino a quando le primarie non avranno coinvolto il centrodestra il loro cammino non potrà dirsi concluso. Quello che conta è che continui, e soprattutto continui in avanti e non indietro”.

 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.