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Le primarie a geometria variabile e altri sogni infranti in casa Pd

Marianna Rizzini
Erano arrivate dall’America con un carico di sogni, creature mitologiche capaci di purificare i partiti dal vizio di opacità. Ora moratorie e colpi di tosse. Parlano i politologi Michele Salvati e Salvatore Vassallo

Roma. Erano arrivate dall’America con un carico di sogni, le primarie, creature mitologiche capaci (sulla carta) di purificare i partiti dal vizio di opacità. Ed erano state presentate, alla nascita del Pd, nel 2007, come il punto di non ritorno della nuova politica liquida e senza segreti: mai più sottoscala in cui far volare i coltelli correntizi al momento della scelta di un candidato, si diceva. E però primaria che vai problema che trovi: una volta non si capisce la regola. Una volta non si capisce la tempistica. Una volta non si capiscono i candidati. Una volta ci sono i fantomatici “cinesi” che votano in massa. E insomma l’impressione, di questi tempi (vedi caso Napoli, con titoli di giornale che parlano di “norme ad hoc anti-Bassolino” e dell’idea di “vietare le primarie agli ex sindaci”), è che le primarie, nel Pd, siano per così dire arrivate alla frutta, nonostante altri partiti vogliano imitarle. Solo che, “essendo previste a livello statutario”, si devono fare “almeno fino a che non si cambi lo Statuto del partito”, dice il padre teorizzatore del Pd e professore Michele Salvati, che sulle primarie in sé “non transigerebbe” ma che, per uscire dall’incubo della contestazione continua, ricorrerebbe “a una piccola modifica dello Statuto in senso democratico: le primarie sono state introdotte perché si pensava che gli iscritti al partito fossero un gruppo ristretto, potenzialmente conservatore o riottoso rispetto a proposte innovative”, dice, sottolineando che “infatti le primarie si sono rivelate un ottimo sistema di scardinamento”.

 

I candidati forti all’interno o all’esterno del partito, dice Salvati, “non hanno nulla da temere dalla consultazione. Se però il partito non è ben organizzato o è preda di conflitti interni, coloro che vanno a votare alle primarie, al delle truffe vere e proprie, possono rivelarsi troppo pochi. Io allora introdurrei una soglia di numerosità sufficiente, che dia garanzie sulla reale percentuale di persone vicine al partito. Come dire: ‘Sono valide le primarie se il numero di quelli che regolarmente e legittimamente partecipano alle primarie sono una sufficiente percentuale di coloro che hanno votato per il partito alle precedenti elezioni’. In caso contrario, decide il partito”. C’è poi il nodo delle regole per così dire cangianti (a seconda del momento), vedi le primarie di coalizione del 2012, con contestazioni sul secondo turno. “Io sono per primarie aperte ma oneste”, dice Salvati: “Che si voti sempre con scheda elettorale”.

 

[**Video_box_2**]Per il politologo Salvatore Vassallo, componente della Commissione di Garanzia del Pd, le primarie soffrono perché sembra essere venuta meno la loro funzione maieutica: “Erano viste come lo strumento che avrebbe incentivato l’emersione di personalità di peso. Ma è come se l’elettorato non percepisse più la possibilità di un ricambio. Resta il fatto che senza le primarie non sarebbero arrivate sulla scena figure innovative”. Sulle eventuali norme anti-Bassolino, Vassallo dice che “non c’è un vincolo statutario” che impedisca all’ex sindaco di Napoli di candidarsi. Per impedirglielo “bisognerebbe fissare una norma ad hoc” (ieri la vicepresidente pd Debora Serracchiani parlava di “una proposta della segreteria”, da discutere, “che prevede che chi è già stato sindaco non possa candidarsi alle primarie”). “Ma visto che lo Statuto affronta già il problema, collegandolo alla consecutività del mandato”, dice Vassallo, “sarebbe complicato intervenire senza modificare lo Statuto”. Aleggia pur sempre la domanda (a ogni elezione): “Quando si fanno le primarie?”. Vassallo parla dell’opportunità, già discussa nel Pd, “di un regolamento quadro nazionale”. Quanto al rischio “truppe cammellate”, problema “non del tutto risolvibile ma contenibile”, si può decidere “di chiedere la pre-registrazione per le categorie di votanti alle primarie che non hanno diritto di voto alle elezioni, come i sedicenni e gli immigrati. Oppure vietare il voto a queste categorie, dicendo che l’esperimento è fallito”. Dopodichè, dice Vassallo, “le primarie non risolvono il problema dell’assenza di candidatura adatta”. Intanto Matteo Renzi dice: “Moratoria fino a gennaio”.

 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.