Un programma che unisce tasse più moderate e spese crescenti è realizzabile solo indebitandosi ancora di più

Alberto Mingardi
Grillo, tasse, debito e deliri onirici della sinistra. Economisti e addetti ai lavori a confronto sul manifesto economico del presidente del Consiglio svelato dal Foglio

“Happy Days” è andata in onda negli anni Settanta, proprio quando con lo scandalo Watergate, la crisi petrolifera e l’elevata inflazione sembrava che i giorni felici dell’America fossero giusto un ricordo. La serie è ambientata ai tempi di Eisenhower, prima che Kennedy tagliasse l’aliquota marginale dell’imposta sul reddito di venti punti, dal 91 per cento al 70 per cento. Di liberista, non c’era molto.

 

Ma “Happy Days” è anche il più rassicurante dei telefilm: le inquietudini del passaggio fra adolescenza e maturità vengono risolte nel tepore della Tipica Famiglia Americana, il bene è bene e non tutti i mali vengono per nuocere. In questo senso, Stefano Fassina non sbaglia ad accostare a “Happy Days” il discorso politico di Matteo Renzi. C’è, anche nella relazione ai gruppi parlamentari del Pd, l’invocazione orgogliosa di un mondo più semplice, la cui comprensione sia alla portata di cittadino e elettore. L’operazione-contanti è, sotto questo profilo, quanto di più renziano ci sia. Obbedisce all’intuizione, magari non particolarmente strutturata ma saggia, che allentando le briglie gli italiani sapranno produrre ricchezza da soli. Renzi è del ‘75, ma pensa al “miracolo italiano”, breve parentesi della nostra storia segnata da alti tassi di crescita e politica (relativamente) poco invasiva. Le constituency tradizionali del Pd non lo possono però seguire, su questa strada di buon senso. Lui lo sa bene. Per questo mette mano alla borsa: aumenta i fondi alla cooperazione internazionale (per fare cosa? Chissà), annuncia nuovi stanziamenti per l’edilizia popolare pubblica (da sempre un pozzo senza fondo di sperperi e abusi, ma tant’è), con questa finanziaria lo stato torna persino ad assumere. Per questo Renzi ha fatto un decreto “salva-regioni” che avalla ciò che per il privato sarebbe falso in bilancio, salvo auspicare il ritorno di un centralismo che, com’è noto, in Italia ha prodotto buona amministrazione e conti in ordine.

 

Per questo, infine, Renzi è  stavolta cauto nei toni con Enrico Letta, ma spietato con Mario Monti. Il sottinteso è chiaro: la tecnocrazia taglia, la politica spende. La burocrazia tira un sospiro di sollievo. Ahinoi un programma che unisce tasse più moderate e spese crescenti è realizzabile solo indebitandosi ancora di più. A questi tassi, la cosa non appare irrazionale. Ma che succederà se, cambiando il passo dell’economia mondiale, saremo costretti a un aggiustamento? Più promette oggi, e più promesse Renzi potrebbe doversi rimangiare domani. Dagli “happy days” rischiamo di svegliarci di soprassalto.

 

Alberto Mingardi è Direttore generale Istituto Bruno Leoni

 

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