“Il liberismo è di sinistra”. La convinzione renziana che ne fa un unicum (di successo) in Europa

Erik Jones
Grillo, tasse, debito e deliri onirici della sinistra. Economisti e addetti ai lavori  a confronto sul manifesto economico del presidente del Consiglio svelato dal Foglio

Sono quattro gli aspetti principali che emergono dal discorso renziano sulla legge di Stabilità: la sua analisi delle sfide che la crisi impone all’Italia; la sua valutazione sul centro sinistra europeo; la sua difesa del piano di riduzione delle tasse sulla prima casa; la sua presa d’atto del fatto che la distanza tra nord e sud del paese rimane una questione prioritaria.

 

Colpisce l’analisi renziana della crisi: per lui la via d’uscita sarà consentita al 50 per cento dalle riforme e al 50 per cento dalla fiducia del paese nelle proprie capacità. Questo probabilmente non è lontano dal vero. L’aspetto che evidenzierei è l’importanza della fiducia che l’Italia dovrebbe avere in se stessa, nella sua capacità di riguadagnare la credibilità agli occhi degli investitori internazionali. A questo proposito è utile ricordare che la crisi italiana si aggravò seriamente nel giugno 2011. Gli italiani in realtà, dal punto di vista economico, arrancavano già prima di allora, ma gli investitori stranieri fino a quel momento erano rimasti impegnati nel sostenere il mercato del debito pubblico del paese. Quella situazione mutò all’improvviso e la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi fallì nel tentativo di predisporre una risposta adeguata. Peggio ancora: le schermaglie tra Berlusconi e il suo ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, resero difficile per gli operatori internazionali la ricerca di appigli per rinnovare la loro fiducia. Nemmeno la nomina del governo di Mario Monti fu sufficiente per ristabilire la tranquillità di prima. Soltanto l’azione decisiva del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ha fatto la differenza. Il punto ora è se l’Italia sia più in grado di stare in piedi sulle sue gambe. Approvare riforme di successo è soltanto una parte del ragionamento; anche una leadership efficace e una coalizione di governo duratura sono importanti. La capacità di Renzi di sopravvivere alle ripetute sfide che sono state lanciate alla sua leadership pone le basi per il suo successo anche a questo riguardo.

 

Per certo la parabola fortunata di Renzi appare in contrasto con quella del centrosinistra in altri paesi. Gli esempi che vengono dall’Europa centrale ed orientale sono allarmanti; in Ungheria e in Polonia la sinistra esiste a malapena, ed è difficilmente riconoscibile altrove, specie lì dove si affronta un afflusso improvviso di richiedenti asilo e immigrati extraeuropei. Tuttavia è la sinistra nell’Europa occidentale a versare in condizioni perfino più preoccupanti. La ragione di ciò non è la mancanza di visibilità, ma piuttosto l’assenza di idee coerenti. Proprio alla luce di ciò, la valutazione di Renzi sulla crisi assume un significato diverso. Qualche anno fa, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sostennero che “il liberismo è di sinistra”. I due economisti potranno non essere d’accordo con il mio giudizio, ma sembra che Renzi abbia abbracciato questa tesi con più coerenza di quanto non abbiano fatto i suoi colleghi in altri paesi. Il presidente del Consiglio italiano ha poi combinato tutto questo con la volontà di affrontare le regole europee più inflessibili. Ancora una volta, ecco una combinazione di riformismo e fiducia in se stessi che sembra funzionare.

 

Non ogni singolo aspetto del programma renziano è ugualmente convincente. Non voglio addentrarmi nel dibattito sul taglio dell’Imu e della Tasi sulle prime case. Renzi, ai critici, controbatte con vigore ma non accetta mai di confrontarsi con l’obiezione più ovvia. Si potevano tagliare le tasse per lo stesso ammontare, ma in un altro settore, e ottenere benefici maggiore in termini di efficienza di mercato e stimolo all’economia? Io penso che la risposta sia “sì”, come sarebbe stato il caso tagliando le tasse sul lavoro.

 

Allo stesso tempo Renzi riconosce che l’elefante nel salotto è la dimensione nord-sud della ripresa. L’Italia meridionale ha sofferto di più la crisi e ne sta emergendo più lentamente. Né i termini generali del programma, né i pacchetti di investimento specifici delineati nei 21 punti del discorso affrontano con radicalità questo problema. C’è da chiedersi se Renzi e la sua coalizione possano calibrare le politiche necessarie a migliorare la situazione dell’Italia in Europa per aggredire pure le questioni irrisolte del mezzogiorno in Italia. Liberalizzazioni e riforme costituiscono solo metà della ricetta; promuovere la fiducia in se stessi e la ownership sulle proprie riforme è l’altra metà necessaria.

 

Erik Jones è Direttore del dipartimento di Studi europei alla Johns Hopkins University SAIS

 

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