Il Senato esce di scena senza rimpianti. Parola di senatore

Luigi Compagna
Quei volti ieri sembrava si congedassero per sempre dalla storia d’Italia. Quanto a Montesquieu, la sua presenza non era stata affatto prevista: sarebbe stata ancor più ingombrante di quella del Sindaco Marino.

Il Senato esce di scena senza rimpianti. Nessun gesto di omaggio alla sua storia, al parlamentarismo voluto dalla Costituzione, alle alte coscienze democratiche che lo hanno frequentato e presieduto. Piuttosto, qualche preoccupazione sulla scombinata assemblea che ne erediterà il nome, sul regionalismo attovagliatosi nella nostra Costituzione e nel nostro bilancio, sulla maleducazione e inadeguatezza di chi ultimamente frequenta e presiede l’Aula.

 

Al Senato, ormai, ci si era preparati all’idea di non avere futuro. La pacificazione fra senatori “democratici” è parsa “bene pubblico” da tutelare prima, più e meglio della libertà dei senatori non “democratici”. Ma era prevedibile.

 

I partiti della Costituente erano veri e seri. Durarono mezzo secolo e fecero Parlamento. Attribuendo ad essi troppa rappresentatività, a discapito di governabilità, se ne rifiutò la storia e se ne perse memoria. Solo che i partiti che ne presero il posto sono già a pezzi. Lo spettacolo è quello di uno sgretolamento inarrestabile di identità, aggregazioni, gruppi dirigenti ormai ridotti a piccole tribù autoreferenziali.

 

Una dimensione nazionale della politica si è fatta effimera e quella locale riesce a sommare i difetti di eccessivo dilettantismo a quelli di eccessivo professionismo. I partiti, a suo tempo previsti dall’articolo 49 della Costituzione, sono ridotti a gusci vuoti. Quanto alla magistratura procedente, essa da “supplente” si è fatta “ordinaria” (con ampia licenza di interventi straordinari).

 

Di tutto questo una società civile, scomposta e sguaiata, è andata a lungo vantandosi. Senza alcuna nostalgia di quando ai vertici delle camere spettava “rappresentare la rappresentanza”, assicurando che l’indirizzo politico delle maggioranze si inverasse in Parlamento un loro ruolo di moderazione e conciliazione della programmazione e dell’ordine dei lavori. Di quel genere di parlamentarismo, la società civile non avrebbe più accettato la fragilità degli esecutivi, le balcanizzazioni del proporzionale, le sicure garanzie di libertà.

 

Il “mariosegnismo”, cioè la religione del maggioritario, avrebbe definitivamente attribuito il potere di indirizzo politico al governo e solo al governo. Dal maggioritario il parlamento italiano venne degradato sul campo ad organo demandato alla traduzione in leggi dell’indirizzo politico. Ad un tempo il sistema si fece più che indulgente nei confronti del localismo, del corporativismo, degli affari regionali, di tutto quel che svuotava di forme e contenuti credibili lo Stato del Risorgimento.

 

In questa sedicesima legislatura i presidenti delle Camere hanno avuto orrore di “rappresentare la rappresentanza”, perché volevano essi rappresentare la società civile. Di qui tanti loro smodati interventismi.

 

Non poteva crearsi una stagione ed uno spirito costituente. Le riforme erano necessarie ma per molti versi impossibili. Non è un caso che si siano registrate più risse tra fazioni che dibattiti fra partiti, più moralismo becero che costituzionalismo ragionato. Al premierato forte, anzi fortissimo, sembra essersi approdati più per rassegnazione che per convinzione.

 

[**Video_box_2**]Attore principale (e per molti versi principesco) della rappresentazione è stato il governo Renzi, che, per nulla concedere alla “casta” e ai “rosiconi”, ha preteso un risultato che scaturisse da astutissimi “canguri” parlamentari. Con Grasso nella parte di chi aveva sperato in un proprio spazio di manovra, ma prontamente si è prestato ad eseguire quanto il governo si era ripromesso.

 

Il nuovo Senato sarà la sala giochi dell’Italia delle autonomie, a cominciare dalle peggiori, quelle scaturite dall’ordinamento regionale più sconclusionato d’Europa. Quell’ordinamento, grazie al ricatto secessionista della Sicilia, ebbe addirittura ad anticipare l’opera della Costituente. Contro quel ricatto levarono la propria voce Croce ed Einaudi, Orlando e Nitti. Quei volti ieri sembrava si congedassero per sempre dalla storia d’Italia. Quanto a Montesquieu, la sua presenza non era stata affatto prevista: sarebbe stata ancor più ingombrante di quella del Sindaco Marino…