Maurizio Landini (foto LaPresse)

Battaglia campale e i nostri Podemos non sanno che mettersi

Marianna Rizzini
Da Landini ai girotondi, per ora tutti in ordine sparso. Le batoste su Jobs Act e Costituzione

Roma. L’aveva detto, durante l’estate, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che a un certo punto avrebbe messo i sindacati “spalle al muro sui contratti”. E’ arrivato l’autunno e Squinzi ha detto addirittura che con i sindacati, sulla riforma dei contratti, è “capitolo chiuso”, e che presto arriverà il “decalogo”: questo si può fare, questo no. Ed è così che, sull’ottobre non molto caldo per le demotivate opposizioni al modello Renzi e al modello Marchionne (il premier e l’ad di Fiat Chrysler si vedranno oggi a Modena), è piombata l’occasione per reagire all’apatia. Apatia che da qualche tempo dilagava come preludio alla caduta nella rassegnazione al mondo che cambia.

 

Ma adesso, con Confindustria che parla come neanche ai tempi delle vere lotte di classe, chissà se ce la farà, l’armata di resistenti e renitenti stanchi, capitanati in ordine non sempre coordinato da Susanna Camusso, Maurizio Landini, Pippo Civati e da qualche prof. di intermittente volontarismo, ad armarsi davvero per la battaglia campale contro chi annuncia lo scardinamento di un intero mondo concertativo. Camusso, intanto, ha dato a Squinzi di “bimbo che porta via la palla”, ma in questo momento la palla più che altro rimbalza: ieri sera, infatti, a “Virus” (Rai2), Squinzi ha ampliato il paragone calcistico: “E’ un po’ come se uno volesse giocare e tutti gli altri no. Allora, a un certo punto, uno si stufa, mette il pallone sotto braccio e se ne va. Ha ragione Camusso, li ho invitati per mesi ma non volevano giocare, e poi mi sono accorto che il pallone era già sgonfio”. Siete un “freno per tutto il paese”, dice ai sindacati il leader di Confindustria, proprio nei giorni in cui Landini, dalla Fiom e da Coalizione sociale, minaccia di nuovo, come un tempo, ma con incommensurabile fiacchezza, di occupare le fabbriche (e però non dagli industriali, ma da Marco Bentivogli della Cisl gli arriva la battuta anti-grandeur: “Per il secondo anno consecutivo Landini lancia l’occupazione delle fabbriche e finisce con occupare solo la tv”; e anche: “Le fabbriche andrebbero occupate di lavoro, la Fim lo ha fatto firmando gli accordi, cominciando da quelli Fca, la Fiom no”).

 

[**Video_box_2**]Ed è come se ogni mossa dell’armata anti Renzi, anti Squinzi e anti Marchionne contenesse in sé la probabile, prossima disillusione: d’altronde molte mosse, nell’ultimo anno, non sono andate a buon fine. E’ fallita, a fine estate, la raccolta firme referendarie lanciata da “Possibile” di Pippo Civati. E’ fallita, nell’ottobre 2014, la raccolta firme per il referendum anti Fiscal compact (e c’erano Camusso, Stefano Fassina, Civati, Miguel Gotor, Alfredo D’Attorre e tutta Sel in prima fila). Poi è arrivato sulla scena lo spettro del Jobs Act, ma pure in quel caso non è andata bene, vuoi perché il nemico era in forze, vuoi perché il morale delle truppe era a terra: tutto approvato. Per non parlare dell’annunciata grande lotta contro la riforma della Costituzione, cavallo di battaglia dell’area MicroMega-Rodotà: nell’autunno un tempo caldo, la riforma del Senato procede come nulla fosse.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.