Rosario Crocetta (foto LaPresse)

Crocetta è avvisato: il prossimo a cadere potrebbe essere lui

Salvo Toscano
Il Pd prende le distanze dal governatore della Sicilia, e si rincorrono voci renziane su un voto anticipato, a primavera 2016

Palermo. “Se sono in grado di governare vadano avanti altrimenti vadano a casa”. Era il 23 luglio scorso e così un tranchant Matteo Renzi si pronunciava su Ignazio Marino e Rosario Crocetta. Il primo dei due amministratori che imbarazzavano il Pd è uscito di scena per i noti fatti capitolini. Il governatore siciliano, profeta di una farlocca rivoluzione antimafiosa, ancora là sta. Ma l’insofferenza dell’entourage renziano nei confronti suoi e del suo inarrestabile malgoverno cresce di giorno in giorno, così come l’idea di chiudere anzi tempo la stagione delle sue giunte dalle porte scorrevoli per mandare al voto la Sicilia nella primavera prossima, magari in un election day che coinvolga anche la Capitale.

 

Dalle parti del Pd più vicine a Matteo Renzi è ricominciato negli ultimi giorni il quotidiano stillicidio di critiche a Crocetta. Parla il sottosegretario Davide Faraone, braccio destro del premier nell’Isola, che attacca a testa bassa il governo per gli ultimi disastri in tema di viabilità, con la Sicilia già spaccata in due dopo la chiusura della Palermo-Catania, ora divisa in tre dopo la frana sulla Catania-Messina. Parla Giuseppe Bruno, presidente del partito siciliano vicino a Faraone, anche lui spietato verso il governatore. Ma parla soprattutto il governo nazionale, con atti che demoliscono la già traballante credibilità delle istituzioni siciliane. Non c’è legge votata dall’Assemblea regionale che non finisca sistematicamente sotto la mannaia delle impugnative del Consiglio dei ministri. Impallinata la legge sugli appalti, smontata la riforma delle riforme, quella delle ex province, la medaglietta che Crocetta s’era appuntata sul petto nel salotto televisivo di Giletti e che si è trasformata in un boomerang. L’ultimo siluro in rampa di lancio da Palazzo Chigi punta sulla legge sull’acqua pubblica, che il consiglio dei ministri si prepara a impugnare lunedì prossimo. Clima pesante, tanto più che in questi giorni la Regione, con i conti alla canna del gas, è alle prese con un bilancio quasi impossibile da chiudere. E le ingenti risorse che mancano all’appello dovrebbero passare proprio da una complicata intesa col governo nazionale.

 

Lo sforzo mediatico dei luogotenenti renziani è tutto concentrato a tenere ben distinto il profilo del governatore da quello del premier. Il messaggio che i fedelissimi di Renzi si sforzano di portare avanti è che a fronte di un governo regionale che pasticcia e si perde tra i disastri, il governo nazionale interviene per mettere pezze. Ma alla lunga, è difficile sperare che l’immagine del Pd tutto non finisca in brandelli in Sicilia, spianando la strada ai grillini, che nell’Isola vanno forte. Da qui il ritorno nei corridoi di Palazzo delle voci renziane su un voto anticipato, magari nella primavera 2016, per interrompere il logoramento. Tra il dire e il fare però ci sono le resistenze degli inquilini dell’Assemblea regionale. I consiglieri, che qui si chiamano deputati, hanno poca o nessuna voglia di abbandonare il seggio, che sarà ancora più difficile riconquistare al prossimo giro, quando le poltrone del siculo parlamento scenderanno da 90 a 70. Le segreterie regionali dei partiti di maggioranza lo sanno bene e da settimane parlamentano col governatore di un ulteriore rimpasto – in tre anni Crocetta ha già cambiato una quarantina di assessori – che avvicini alla maggioranza gli alfaniani. Crocetta, che ha avvertito la brutta aria che tira, ieri ha sentito il bisogno di andare a far visita in cerca di conforto al segretario regionale dem Fausto Raciti, vicino a Orfini. Ufficialmente si parlava di bilancio. Ma l’occasione è servita per avere rassicurazioni dai partiti (c’era anche l’Udc) sul prosieguo dell’avventura.

 

[**Video_box_2**]In tanti però prendono le distanze dal governatore. Inclusa la sua lista, il Megafono, da cui in settimana sono arrivate disamine spietate sull’impostura della rivoluzione crocettiana. D’altronde, la misura dell’attaccamento a Crocetta da parte di amici e alleati si ebbe in quella surreale mattinata d’estate in cui L’Espresso diede notizia della ormai famigerata intercettazione, poi smentita dai magistrati, tra lui e il suo medico Matteo Tutino. Prese di distanza e auspici di fine legislatura piovvero a catinelle nel giro di un paio d’ore, persino dall’inseparabile compagno d’avventura e campione del professionismo antimafia Beppe Lumia. La memoria di quel giorno lascia immaginare che in tanti in Sicilia non aspettino altro che un conto di ristorante alla Marino per farla finita, completando l’opera prospettata da Renzi meno di tre mesi fa. Sempre ammesso che i renziani trovino all’Ars i quarantasei voti necessari per mandare subito a casa un presidente diventato ormai impresentabile: la politica, si sa, ha ragioni che la pagnotta, spesso, stenta a riconoscere.

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