Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Il Cav. diplomatico

Salvatore Merlo
Roma. Faceva le corna nelle foto con i capi di stato, raccontava barzellette, indossava la bandana con Blair, s’abbandonava al cucù con Merkel, gridava “Mr. Obamaaaa” con la regina Elisabetta.

Roma. Faceva le corna nelle foto con i capi di stato, raccontava barzellette, indossava la bandana con Blair, s’abbandonava al cucù con Merkel, gridava “Mr. Obamaaaa” con la regina Elisabetta, poi saltava gli intermediari e i diplomatici dalle scarpe di vernice, e allora telefonava direttamente lui a Bush e a Erdogan, invitava Putin al mare e prendeva a braccetto Mubarak. “Era irrefrenabile”, dice Franco Frattini, che di Silvio Berlusconi è stato il più longevo ministro degli Esteri. “Stizziva i circoli dell’euroburocrazia e del politicamente corretto. Li mandava ai pazzi. Violava le regole. Ed era faticoso stargli dietro. Quando tentavo di dirgli che forse era inopportuno, lui mi rispondeva così: ma fatti una risata, ogni tanto”. Un buffone? “Un irregolare che riusciva a stare al centro della politica internazionale. E questo gusto speciale non gli è passato”. E infatti, mentre Matteo Renzi appare indolente, o forse imperscrutabile sulla Libia e sulla Siria, ma anche sul resto della confusa scacchiera internazionale, c’è un altro, una specie di premier clandestino, che nella sua disinvoltura ludica, malgrado Casoria e il bunga bunga, malgrado Merkel e Sarkozy gli abbiano guastato la carriera, ora s’è messo a rimescolare a mani nude nei rapporti tra America e Russia, nella questione libica e in quella siriana, e dunque traffica, telefona, viaggia, col suo fare pre-diplomatico (essendo lui notoriamente un pre-politico), pasticciando tra pubblico e privato, affari e geopolitica: il Cavaliere, appunto. Opera scherzevole, con un risvolto di serietà. “Voglio rendermi utile per la pace e per migliorare le relazioni tra l’Europa, gli Usa e la Russia”, ha detto, appena qualche secondo dopo aver spiattellato, all’incirca, il contenuto di un accordo possibile tra Putin e Obama, che proprio ieri si sono incontrati a New York, ma forse senza capirsi. Ed ecco allora la pazza idea che accelera il metabolismo della Babele chiamata Arcore: Berlusconi consulente diplomatico, alto inviato di pace. Dice Frattini: “Nei grandi paesi gli ex premier vengono utilizzati”.

 

Dieci giorni fa, mentre si trovava in Crimea con Putin (qualche giorno dopo l’Ucraina l’avrebbe dichiarato “persona non gradita”), il Cavaliere telefonò ad Antonio Tajani: “Sto lavorando per la nascita di una grande coalizione internazionale, sotto la bandiera dell’Onu, per sconfiggere l’Isis”. Possibile? Improbabile, dicono. Ma non c’è ghiribizzo o apparente cacofonia nel mondo di Arcore di cui non si possano disciplinare i contegni attraverso alfabeti, scale Mercalli, grammatiche. E insomma tutto ciò che appare strano, inverosimile o astratto, ha una spiegazione logica, terribilmente concreta: incandidabile, ineleggibile, annoiato dalla contabilità delle chiacchiere sulle alleanze, sballottato com’è tra Salvini, Alfano e Meloni, il Cavaliere ha pure saputo che la corte di Strasburgo non deciderà sulla sua riabilitazione prima del 2016. E allora l’unico “campo” dove poter scendere – come dice lui – sarebbe quello grande della politica estera. Un sogno. E ogni tanto infatti il Cavaliere si è anche provato a dare consigli al giovane Renzi. Per poi ricavarne un’idea: “Non ci capisce niente”.

 

E Frattini sa bene che cosa significherebbe aver un Cav. inviato diplomatico, perché ancora l’ex ministro si ricorda quella gran presenza oscura e vivace che guidava la politica internazionale d’Italia con una mano sola: “Andava avanti per fantasie e intuizioni, spremendo fino in fondo i rapporti con i capi di stato, che diventavano davvero rapporti personali”. Quando il presidente brasiliano Lula atterrò a Ciampino, a novembre del 2008, Berlusconi gli fece trovare Dida, Kakà, Pato, Ronaldinho, Emerson e Leonardo. I brasiliani del Milan. “Mi ricordo che al G8 di Genova a un certo punto Berlusconi mi si avvicinò: ‘Bush è avvelenato contro Putin’, mi disse. E io: ‘Lo so presidente, ma che ci possiamo fare?’. E lui: ‘Facciamo entrare la Russia nella Nato!’. E quasi mi veniva da ridere. La Russia nella Nato? Ma poi ci lavorammo. E a Pratica di Mare, un anno dopo, fu firmata l’intesa Nato-Russia”. Così Frattini racconta che già una volta gli americani avevano deciso di cacciare i russi dal G8, come poi hanno fatto adesso, dopo la guerra in Ucraina. “Durante la guerra in Georgia mi telefonò Condy Rice per annunciarmi che avrebbero buttato fuori la Russia. Quando lo raccontai a Berlusconi, lui alzò la cornetta e chiamò Bush e Putin. La crisì rientrò”. E chissà se davvero fu tutto merito del Cavaliere. Certo è che dopo quegli anni fortunati gli è andata meno bene, con Merkel e Sarko.

 

[**Video_box_2**]“Bisogna riavvicinare Russia e America”, dice ora Berlusconi, che di tutti gli eventi si sforza d’inseguire una possibilità romanzesca che lo riempie d’uno strano orgoglio: prova il piacere d’apparire in una delle tante opere di pupi della politica internazionale. Obama non lo ama, Putin sì. E per lui questa faccenda mette in questione sentimenti d’orgoglio, rivalsa, desiderio. Tutti ingredienti d’una vicenda classica. Espulso, vuole rientrare. Ma non in Forza Italia. Quando gli parlano della riforma del Senato lui sbadiglia, lo sguardo remoto: “Lo sai che da Putin ho fatto anche il rafting?”.
Salvatore Merlo

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.