Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti

Dopo l'intervista a CDB

Quali sono gli interessi della sinistra nell'epoca della sinistra senza ideali

Redazione
Davvero la sinistra senza Silvio Berlusconi è una sinistra senza ideali? Lo ha detto ieri a questo giornale – in modo piuttosto clamoroso – Carlo De Benedetti. E' possibile andare oltre l'antiberlusconismo? Parlano Angelo Panebianco e Giovanni Orsina.

Roma. Davvero la sinistra senza Silvio Berlusconi è una sinistra senza ideali? Lo ha detto a questo giornale – in modo piuttosto clamoroso – Carlo De Benedetti. L’ingegnere è stato chiaro: da quando il Cav. non è più presente come un tempo nella politica italiana, per la sinistra che si era aggregata negli ultimi vent’anni attorno all’antiberlusconismo è stata una disfatta culturale. “Sono d’accordo con De Benedetti”, dice al Foglio il politologo e saggista Angelo Panebianco, “tranne che su un punto: l’antiberlusconismo serviva proprio a coprire una mancanza di ideali. Era un alibi. Fino al crollo del Muro di Berlino, tutto ciò che veniva etichettato come sinistra era costruito sull’ideale di sostituire lo stato al mercato, creando una società giusta ed equa. L’illusione sulla quale si raccoglieva la sinistra comunista  – e anche quella non comunista, basti pensare che i laburisti inglesi prima di Tony Blair avevano nello statuto la socializzazione dell’industria – finisce con il Ventesimo secolo”. Progressivamente, spiega Panebianco, dalla caduta del Muro fino al termine della Guerra Fredda la ricetta antimercato smette di essere un ideale praticabile per la sinistra, anche a causa dei progressi tecnologici. E c’è un momento in cui la sinistra italiana, orfana del Partito comunista, è costretta a “trovare un surrogato” perché non riesce a fare i conti con gli interessi individuali dell’elettorato. Ed ecco Berlusconi. Pur essendo oggi le categorie destra e sinistra molto complicate da definire, spiega Panebianco, “paradossalmente il problema è che Renzi sta cercando una strada per mettere insieme un po’ di ideale e un po’ di interessi, ma è evidentemente in una modalità diversa da quella del passato”.

 

Secondo De Benedetti, inoltre, l’errore di una parte della sinistra oggi – italiana ma soprattutto europea – è quello di trincerarsi nel passato, disinteressandosi del presente: “Siamo a valle di un mutamento politico definitivo”, dice al Foglio Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea dell’università Luiss, “è quello che Pierre Rosanvallon chiama la ‘contro democrazia’. La politica non è più in grado di leggere il futuro per la gente comune, che automaticamente si concentra su questioni concrete e quotidiane”. In altre parole, se non puoi promettermi un futuro almeno fai arrivare i treni in orario e tieni pulite le strade: “Nell’Unione Sovietica”, dice Orsina, “se le cose andavano male si poteva ribattere che si stava lavorando per costruire l’utopia del mondo perfetto, ma se non c’è un futuro, si abbrevia lo sguardo, e il lungo periodo perde d’interesse”. Per Orsina la sinistra è molto più colpita della destra dal fenomeno: “Se io non ho sogni, non ho speranze né visioni di lungo periodo e ho bisogno di un buon amministratore, tendenzialmente lo cerco a destra e non a sinistra. Non a caso in Europa Angela Merkel ha successo, perché ha intuìto l’arma del breve periodo”. E poi, dentro questo quadro, c’è la sinistra italiana, e il suo fallimento ha radici profonde: “Inizia con la disfatta del Partito comunista in una sinistra che non vuole il modello social democratico – che già negli anni Ottanta è in crisi, quando l’Spd perde in Germania e vince Kohl, quando c’è la svolta di Mitterand in Francia, quella stessa svolta che non vuole fare la Thatcher. Ma la sinistra italiana va ancora più indietro, e il Pci si inventa la questione morale. Un ripiego. Con Tangentopoli poi si trova la scusante definitiva. Parallelamente si sviluppa anche su Rep., e anche nella sinistra laica si insinua una componente moralistica: non la metto sul terreno politico, io non ti riconoscono come interlocutore perché non sei moralmente degno”. Anche l’antiberlusconismo era un ripiego, il ripiego di un partito che ha fallito in termini politici, dice Orsina. Ma se questa è la situazione, il Cav. è una manna dal cielo: “Di più, è la grande soluzione: non è l’antiberlusconismo al posto della politica, è proprio la politica a mancare. Perfino D’Alema, il più togliattiano e meno moralistico, poi ci cade in continuazione – basti rileggere le cose che scriveva nel 94”. E però, volendo essere pignoli, si potrebbe dire che anche Berlusconi navigava nell’anticomunismo: “Ma lui era più al passo con i tempi”, dice Orsina, “perché nel frattempo voleva fare Reagan e Thatcher, e ha vinto le elezioni. Così come la caduta del Muro non ha fregato i comunisti ma gli anticomunisti, la caduta di Berlusconi ha fregato anche gli antiberlusconiani”.