Francesco Bonifazi (foto LaPresse)

Soldi tanti, benedetti e subito. Il fundraising del Pd funziona

Marianna Rizzini
Il tramonto dei finanziamenti pubblici, le case del popolo e la contesa con i vecchi tesorieri di Ds e Margherita, la necessità di reinventare le fonti di approvvigionamento, il lento successo del 2 per mille (i sostenitori superano gli iscritti), le cene degli scandali e quel coming out di Bersani.

Roma. La buona nuova, in casa Pd, è arrivata qualche giorno fa, numeri alla mano: 549.196 cittadini hanno deciso di devolvere il 2 per mille al partito. Totale: cinque milioni e mezzo di euro. Un altro mondo rispetto all’anno scorso, quando erano arrivati soltanto duecentomila euro per diecimila donatori (e vabbè che ancora in pochi sapevano di poter devolvere, ma il dato non era consolante). Soprattutto, una manna in tempi di finanziamento pubblico agli sgoccioli (entro il 2017 sparirà del tutto).

 

Dunque in questi giorni esulta, il deputato e tesoriere pd Francesco Bonifazi, trentanovenne avvocato triburista talmente toscano e talmente renziano che se chiudi gli occhi e li senti parlare, lui e Renzi, quasi non li distingui. “Risultato incredibile”, dice Bonifazi davanti a quei numeri giunti dopo un anno e mezzo di mandato non proprio tranquillo, viste le questioni spinose apertesi prima di tutto sul piano immobiliare con l’ex casa-madre Pci-Pds-Ds, con contesa attorno agli immobili: i circa 1.800 circoli che un tempo erano “case del popolo” e del Bottegone e poi, dopo il 2007, ambienti di proprietà delle fondazioni nelle cui mani è custodito il patrimonio pre-Pd. E insomma pure i muri del Nazareno ricordano i giorni di botta-e-risposta a distanza sul tema, circa un anno fa, tra Bonifazi e lo storico ex tesoriere di Botteghe Oscure e senatore Ugo Sposetti (“il Pd sta in 1.800 circoli di proprietà del famigerato Pci-Pds-Ds e non paga né Tarsi né Imu né condominio”, diceva Sposetti nel momento di massimo attrito, parlando di quelle sedi “frutto del lavoro e della fatica di centinaia di militanti comunisti”. Ma come, non siete la stessa cosa, ora?, gli chiedevano, ma lui invitava i newcomers a “lasciar perdere”, anche al grido di “non sanno la differenza tra codice civile e codice della strada”). La cosa non si è risolta. “Situazione surreale”, dice Bonifazi, “mio nonno partigiano ha contribuito a costruire nel proprio tempo libero alcune case del popolo. Ma oggi, ne sono sicuro, avrebbe voluto vederle di proprietà del Pd e non di anonime fondazioni costruite ad arte. E lo dico da persona che è stata a lungo iscritta al partito quando si chiamava Democratici di sinistra. Altrettanto curiosa mi è parsa la scelta dell’ex Margherita di non far confluire nel Pd, al momento della sua nascita, le risorse ingenti di cui era in possesso”.

 

Ma nel giorno della buona nuova e del due per mille tutto pare meno fosco, dal punto di vista della cassa. Che cosa ha fatto cambiare idea ai cittadini ormai riluttanti a sborsare soldi per i partiti? Più informazione? Meno malumore contro la casta? Bonifazi dice: “Abbiamo spiegato in modo chiaro e analitico quello che il Pd ha fatto nell’ultimo anno, a partire dalla legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, nella convinzione che se la politica chiede sacrifici ai propri cittadini il primo sacrificio dev’essere il suo. Nonostante la drastica riduzione delle entrate (meno dieci milioni di euro arrivati dal finanziamento pubblico), e nonostante la perdita ereditata pari a 10,8 milioni di euro, il bilancio del 2014 si è chiuso con un piccolo utile di 168 mila euro, senza dover ricorrere alle risorse provenienti dagli ammortizzatori sociali”. Al Nazareno ci fu, a suo tempo, chi non volle sentirsi dare di spendaccione ex post, e infatti la spending review di Bonifazi è stata puntellata di polemiche: “In generale posso dire di aver tagliato del 70 per cento i costi per servizi e forniture, quindi anche alcuni costi che attengono alla politica”, dice il tesoriere che ha eliminato lo “stipendio” per i membri della segreteria pd (anche per quelli che non siedono in Parlamento) e ha depennato le auto blu “in favore del taxi pagato di tasca propria”. C’è poi “la promessa mantenuta” sotto forma di “riapertura dell’Unità, quotidiano simbolo della sinistra italiana e soprattutto patrimonio culturale di tutti gli italiani”, dice Bonifazi, e “l’implementazione di forme di fundraising mai sperimentate in Italia in quelle dimensioni, vedi le cene di finanziamento”. Contestate cene di finanziamento, verrebbe da dire nell’epoca degli scandali mediatici che vanno sotto il titolo di “Mafia capitale”: “Contestate a posteriori”, dice il tesoriere, “chi avrebbe potuto immaginare un risvolto romano di quel tipo? Altrimenti ci saremmo attrezzati”.

 

I cittadini, questa l’idea che si è fatto il tesoriere, “hanno voluto dare voto positivo con il 2 per mille al sistema di trasparenza, chiarezza e parsimonia con cui il partito ha gestito risorse esigue rispetto agli anni precedenti: non abbiamo neppure prodotto debito, cosa che in passato era accaduta”. Siamo di nuovo lì, all’impossibilità di mantenere il tenore di vita degli anni in cui i partiti potevano permettersi la manica larga: “L’idea è quella di dare un segnale di realtà rispetto al paese che vogliamo governare”. “Poi c’è il fronte dell’azione politica vera”, dice Bonifazi, “quella del cambiamento del paese. Lo slancio è stato premiato: i nostri sostenitori tramite due per mille superano il numero degli iscritti. Ed è anche la nostra risposta all’antipolitica: quando la politica risolve i problemi ed è capace di decidere, i cittadini le riconoscono il valore che merita e decidono di sostenerla. Tutti mi chiedono con quanti soldi il partito può andare avanti. Beh, il Pd è un partito che non ha come obiettivo quello di accumulare soldi, ma quello di cambiare l’Italia. Ed è chiaro che le modalità con cui si organizzano i partiti politici dovranno cambiare, passando per una contrazione e una riorganizzazione complessiva dell’assetto interno”. Si apre la questione sottesa a tutto: come far funzionare il finanziamento privato. “Trasparenza e regolamentazione delle lobby”, dice Bonifazi, “senza questi due elementi difficilmente il fundraising potrà dare i risultati sperati. Senza la trasparenza la politica perde consensi. Bisogna allora derogare in qualche modo alle normative sulla privacy. Il rapporto tra politica e impresa o tra politica e sostenitori privati deve essere ‘in chiaro’, e diventare talmente consueto da spazzare via a monte ogni sospetto di inciucio”. (Flashback: nel 2005, negli anni duri delle scalate Unipol e dell’“abbiamo una banca”, Pier Luigi Bersani, in pieno deflagrare della questione morale, diceva a questo giornale: “Sarebbe opportuno cambiare registro quando si giudica il rapporto tra soldi e politica… mi sembra abbastanza logico e scontato che, negli Usa, imprese che si occupano di industria pesante o armamenti siano tradizionalmente filorepubblicane, mentre imprese che si occupano di tecnologia siano tradizionalmente filodemocratiche”. Quel Bersani invitava al coming out: che l’impresa dica la sua predilezione politica, che il politico dichiari il collegamento con l’impresa. “Magari sentirlo parlare così oggi”, dice Bonifazi).

 

[**Video_box_2**]Difficile a farsi, comunque, nel paese in cui, da Tangentopoli in poi, anche la sinistra ha assecondato l’onda montante della disaffezione a una politica che nell’immaginario collettivo pare sempre “brutta&ladra”. “Se siamo arrivati a questo punto la colpa non è dei cittadini ma di ciò che la politica non ha fatto in questi vent’anni. Ma ora serve uno scarto prima di tutto culturale, di mentalità. Deve diventare evidente che il dare qualcosa a un partito in modo trasparente non è un modo per ricevere benefici, bensì un modo per sostenere un’idea che si ritiene degna di essere sostenuta. In Senato è ferma un’ipotesi di legge che parte da un impianto normativo dei 5 stelle: può essere un buon dato di partenza”. Ma come si convince un cittadino che pencola dal lato dell’antipolitica che si può finanziare un partito senza favorire i fantomatici “ladri”? “C’è un solo modo: riconsegnare credibilità alla politica. Siamo stati eletti per scegliere e attuare un programma. Se lo facciamo, la politica si accredita come strumento utile. Diversamente, il cittadino sospetta che sia soltanto un modo per ingrassare le classi dirigenti in Parlamento o negli enti locali, e si allontana indiscriminatamente da tutta la categoria”.

 

Il militante sedotto dal mantra antipolitico, però, non vuole nei partiti né gli spendaccioni di soldi pubblici né finanziatori privati. Ma se il partito non usa soldi pubblici in qualche modo dovrà poter parlare con i possibili finanziatori privati senza che per questo si gridi allo scandalo ogni due minuti. “Siamo noi che dobbiamo ri-attrarre la fiducia del cittadino”, dice Bonifazi, “ e questi soldi del due per mille, piaccia o non piaccia ai nostri oppositori esterni ed interni, mi sembrano un segnale di fortissima fiducia e incoraggiamento”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.