Luca Zaia, Matteo Salvini e Roberto Maroni (foto LaPresse)

Non succede, ma se succede

Quel paracadute di Maroni e Zaia nel caso di un flop di Salvini

Salvatore Merlo
La vecchia Lega di governo (regionale) adora i sondaggi al 15 per cento, ma teme che la bolla possa esplodere

Roma. Dicono che ogni qual volta Matteo Salvini va ad Arcore il Cavaliere se lo coccola tutto come faceva con Umberto Bossi, e che in privato i due si concedono anche delle intimità stravaganti, come vecchi compari, diavoletti dello stesso girone infernale. Ma dicono pure che un minuto dopo, quando Salvini ha lasciato il giardino, superato il cancello e ripreso la via di casa, allora a quel punto Berlusconi alza la cornetta del telefono: “Signorina, mi chiami Roberto Maroni”. E ovviamente Maroni e il Cavaliere diffidano l’uno dell’altro, da sempre, ma le loro sono comunque telefonate di consolidato concubinaggio, entrambi sono infatti gli eroi di una lunga vicenda adulterina che tuttavia non hanno alcun ritegno a giocare seriamente agli sposi: “Ma tu che gli hai detto?”, “e lui che ti ha risposto?”. Da settimane, nella Lega, in Lombardia e in Veneto, a casa di Maroni e di Luca Zaia, hanno preso a osservare con preoccupazione Salvini: le spara troppo grosse, e bisogna preparare un paracadute in caso di botto.

 

E certo i sondaggi sono ancora gonfi e Salvini, scatenato e famelico com’è, sembra addentare indiscriminatamente e con successo nell’immensa torta della politica italiana. Ma l’espansione al sud non sta funzionando, scarse le adesioni, scoraggianti i rilevamenti demoscopici della lista “noi con Salvini”, niente di grave, certo, non ancora, eppure nella vecchia Lega, tra gli amministratori della Lombardia e quelli del Veneto, nel partito di governo regionale e comunale, si fa strada un po’ di scetticismo, temperato. Così Maroni oscilla fra il terribile e il dolce, fra un’aria di rimprovero, censure, rifiuti nei confronti di Salvini, e un’altra di simpatia, consensi, piaceri nei confronti del ragazzo che ha portato la Lega al 15 per cento (“ma la Lombardia la governo io, e da prima”). E infatti l’idea di una grande serrata, uno sciopero del paese leghista contro Renzi, il cosiddetto “blocca Italia” immaginato da Salvini per novembre, non gli piace, come pure il presidente della Lombardia è rimasto interdetto di fronte alla polemica di Salvini con il Papa, ed è preoccupato che il ragazzo cresciuto nei giovani padani non sappia (o non voglia) costruire un’alleanza elettorale. Una preoccupazione che in Maroni si fa talvolta pressante quando il governo Renzi periclita vistosamente in Senato. Forse anche per questo il vecchio delfino di Bossi ha cominciato a corteggiare – pensate un po’ – persino il partito di quell’Angelino Alfano che per Salvini è il peggior ministro dell’Interno della storia: “Con Ncd dovremmo allearci dovunque, al nord”. In cuor suo dicono rimproveri a Salvini certa politica grossezza, certe fanfaronate, certe spavalderie un po’ da gallinaccio che adesso cominciano a essere strampalate, e non più così efficaci, se non persino dannose, spesso in contraddizione tra loro: la legalizzazione della prostituzione e la difesa del bambinello nel presepe, la critica alla chiesa sulle tasse alle scuole parificate e la difesa della famiglia, e poi la storia della prostituta transessuale Efe Bal, arruolata da Salvini ma poi passata all’attacco semiricattatorio: “Per gli sms che ho nel telefono… per ciò che ho visto e vissuto nella Lega… ho paura e temo per la mia vita”.

 

[**Video_box_2**]Per Maroni l’amicizia politica con Salvini è un istintivo accordo ordinato agli scopi dell’azione, della raccolta del consenso, un proficuo adattarsi tra loro di certe concordanze: finché Salvini funziona saranno tutti più o meno con lui, ma “funzionare”, per Maroni (e anche per Luca Zaia), significa poter governare, o poter ambire a farlo. Per Salvini, invece? E se si accontentasse di essere un piccolo Beppe Grillo? Questo dubbio tormenta i dirigenti della vecchia Lega, compreso l’intramontabile e saltellante (da una correntina all’altra) Roberto Calderoli. Ed è un coro a mezza voce, a bocca storta, a occhi sgranati, ma allarmato, un lamento di carattere endemico e di andamento carsico che però riaffiora di continuo. Ed è forse la ragione per cui l’eterno e abile Giancarlo Giorgetti compare sempre più spesso a fianco del giovane leader. La fitta ragnatela del suo lavoro nei governi accanto a Bossi, di cui Giorgetti è discepolo rinnegato, l’ha portato a conoscere tutti, a sapersi muovere nei rapporti con gli altri partiti. E così senza troppo snobismo Giorgetti adesso offre, richiesto, i suoi preziosi servizi al giovane segretario, leader di turno ma non eterno, come testimoniano le telefonate, tante, di Maroni con Berlusconi, il Cavaliere che da Arcore, acrobata, usa a proprio vantaggio i fragili equilibri della Lega: in caso di elezioni Salvini non può essere un capo della coalizione rappresentativo per tutti. “Mentre Zaia, invece…”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.