Matteo Renzi e Tony Blair (foto LaPresse)

Caro Renzi, scopri quanto Blair c'è in te

Lorenzo Castellani
Decisionismo da sinistra, ministri ombra (eccezione: l’Economia), pochi e fidati consiglieri (stile Campbell), riforma del Senato e guerra alla burocrazia. E' tutt'altro che folle un accostamento tra il premier italiano e l’ex inglese.

“Quella non è democrazia, è il Telegatto”, ha rimproverato dal palco del Meeting di Rimini Matteo Renzi alla minoranza del suo partito che si oppone alla riforma del Senato innalzando lo stendardo della democrazia. Una propulsione “decisionista” che avvicina il premier all’ex primo ministro britannico Tony Blair che solo qualche mese fa, a poca distanza temporale dalla pizza a Roma proprio con Renzi, aveva dichiarato pubblicamente: “La democrazia è importante, ma non basta a se stessa. C’è anche bisogno di efficacia. C’è bisogno di un governo efficiente capace di prendere decisioni efficaci”. Si discute se Renzi non sia il successore naturale di Silvio Berlusconi per quel modo diretto d’interpretare “la democrazia del pubblico”. Eppure se si guarda allo stile di governo, alle scelte politiche e non solo alla fenomenologia comunicativa, le sovrapposizioni tra il premier fiorentino e l’ex inquilino laburista di Downing street sono molteplici.

 

Entrambi hanno cambiato il proprio partito non solo nella retorica e nei linguaggi, ma nelle tematiche. Hanno intuito i cambiamenti introdotti nella società dai propri predecessori alla guida del paese (Thatcher e Berlusconi) spostando al centro l’offerta politica e costruendo il consenso intorno a un cambiamento dolce, ottimista, orientato alla globalizzazione. Tanto Renzi quanto Blair, e questo forse è il parallelismo più interessante, hanno centralizzato la gestione del governo centrale. L’ex primo ministro lo fece nominando i propri special advisers, Alaistar Campbell alla comunicazione e Jonathan Powell alle policies e alle relazioni internazionali, e dotando loro, tramite il varo di un apposito regolamento, del potere di dare ordini ai civil servants come fossero ministri e non semplici consiglieri. Utilizzò Peter Mandelson, l’architetto del cambiamento Labour, prima come ministro del Cabinet Office, un ruolo assimilabile a quello del sottosergretario alla Presidenza del Consiglio, e poi come strategico Ministro dell’Industria e del Commercio.

 

Per Blair, così come per Renzi, gli affari governativi si sbrigano in casa: nelle stanze di Downing street e Palazzo Chigi con un manipolo di fedelissimi. Entrambi hanno concesso un ruolo secondario, da gregari a gran parte dei propri ministri, ma sono stati costretti a concordare la linea politica con il titolare dell’Economia e Finanze, Pier Carlo Padoan oggi e Gordon Brown ieri.

 

Tanto Renzi quanto Blair hanno avviato la propria prima legislatura puntando sulle riforme istituzionali. Il Premier laburista ha combinato l’eliminazione dell’ereditarietà del seggio della House of Lords con l’ambizioso progetto della devolution che ha visto l’inaugurazione dei parlamenti scozzese e gallese. Renzi ha scelto una riforma del Senato volta, com’è apparso chiaro dalle parole del Premier al Meeting di Rimini, a rafforzare l’esecutivo eliminando il bicamerlismo paritario e a ricostruire una democrazia dell’alternanza.

 

Entrambi hanno sofferto le alte burocrazie, Renzi al momento le ha affrontate riducendone gli stipendi e limitando la sovrapposizione di incarichi, Blair rafforzando la valutazione delle perfomance, il coordinamento, costringendo i civil servants a concentrarsi su tematiche specifiche e sul miglioramento dell’erogazione dei servizi pubblici.

 

Tanto il Presidente del Consiglio quanto l’ex inquilino di Downing street hanno inaugurato uno stile governativo tutto centrato sulla comunicazione e lo spin politico. Blair attraverso una maniacale attenzione al mondo dei giornali e delle televisioni con l’introduzione in ogni ministero di un consulente esterno per i media e Renzi, figlio della generazione successiva, attraverso tweet, video e campagne Facebook. Una cascata di informazioni totalmente incentrate sulla figura del Premier, sui risultati positivi del Governo, sull’intervento tempestivo per sviare l’attenzione del pubblico dalle negatività siano esse numeri, pixel o disagi sociali.

 

[**Video_box_2**]Certo, i paragoni storici sono pericolosi perché corrono il rischio dell’inaccuratezza e, anche in questo caso, è in gran parte vero. Renzi non ha ancora mostrato la profondità e la solidità intellettuale della proposta riformista blairiana, non ha l’educazione d’elitè matuarata a Oxford del leader laburista, né l’elaborazione culturale che il sociologo Anthony Giddens fornì a Blair con l’idea della “Terza Via”, ovvero la costruzione di una socialdemocrazia che non rinunciasse al libero mercato e alle privatizzazioni thatcheriane. Allo stesso tempo, va sottolineato come Blair si muovesse in un contesto istituzionale ben più agevole con un’ampia maggioranza del proprio partito, niente nazareni traballanti, niente paludi parlamentari né scissioni a sinistra ed in uno scenario internazionale allo stesso modo minacciato dal terrorismo, ma assolutamente più sereno dal punto di vista finanziario e della crescita economica. Se è innegabile che Renzi mostra nella leadership, nella spregiudicatezza e nell’ottimismo rampante dei tratti inconfondibili di continuità con il primo Berlusconi è altrettanto vero che se si deve trovare un paragone internazionale, cercato dallo stesso presidente del Consiglio, la consonanza con Tony Blair è quella che risulta più evidente. Del leader laburista, Renzi ha studiato la prassi istituzionale, l’insofferenza per le lunghe discussioni politiche e le trattative interne al partito, la costante centralità della propria personalità, la continua presentazione al pubblico d’iniziative e riforme, l’accentramento dell’azione governativa nelle mani del Premier e della sua squadra ristretta. Il governo Blair è stato più volte descritto come un “Presidential government” o “spin doctor government” volto a superare collegialità e lentezze del Cabinet government e del Parlamento. Una serie di definizioni che fanno di Renzi il suo principale emulatore e che presto potrebbero assestarsi anche sul piano istituzionale proprio grazie al decisionismo “blairiano” del Premier.

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