Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Crescita, lavoro e droga

Claudio Cerasa
Prodotto interno gufo, ripresa lumaca, economia che va e non va. L’identità del governo si gioca qui: come non drogare i dati sull’occupazione. Ecco il piano segreto del governo per rinunciare agli sgravi sulle assunzioni - di Claudio Cerasa

Giù le tasse, e poi? L’idea ormai la conosciamo tutti, l’ha anticipata in tempi non sospetti questo giornale e oggi la si può descrivere con l’immagine di un formidabile bibitone estivo fatto di scorze di liberismo, fettine di paraculismo, aggiuntine di moderatismo, correzioni di progressismo, aromi di berlusconismo e gocce di leopoldisimo. Per superare indenni la prova costume, riconquistare una parte dell’elettorato di centrodestra e provare a dare una frustata al quel cavallo dell’economia che anche ieri ha dimostrato di non riuscire a correre come dovrebbe (il prodotto interno gufo fa segnare appena un più 0,2 nel secondo trimestre, un decimale in meno rispetto al primo trimestre: risultato discretamente deludente, considerando gli aiuti esterni arrivati anche all’Italia tra effetto Bce, petrolio a basso costo ed euro basso ormai da mesi), l’idea del governo Renzi è quella di scommettere tutto sulla rivoluzione del fisco, il taglio alla tassa sulla prima casa, la riduzione dell’Irap e la revisione tanto dell’Irpef quanto dell’Ires. Ma in mezzo a tutto questo grande calderone di buone intenzioni estive – che dopo l’estate entrerà, si spera, non solo nell’agenda degli annunci ma anche nell’agenda di governo – c’è un tema importante che riguarda sempre le tasse e che dovrà però essere affrontato da Palazzo Chigi prima ancora che il presidente del Consiglio spieghi esattamente in che modo vorrà lavorare alla sua “copernicana” riduzione della pressione fiscale.

 

Il tema centrale è quello che ha dolcemente drogato in questi mesi i dati sull’occupazione: il famoso sgravio contributivo fino a otto mila euro all’anno offerto dal governo per trentasei mesi a quelle aziende che nel 2015 hanno scelto di assumere personale adottando il Jobs Act. Lo sgravio vale circa 4 miliardi di euro all’anno, dodici miliardi nel triennio, nei prossimi giorni il governo dovrà decidere se confermarlo o no all’interno della prossima legge di stabilità e attorno a questa scelta solo apparentemente tecnica si gioca un pezzo importante dell’identità economica del governo.

 

Il punto è il seguente: riuscirà Renzi a ragionare sul tema delle tasse non soltanto con una chiave elettorale, e dunque di breve termine, ma anche con una chiave strutturale e di conseguenza di lungo termine? Vediamo. Attorno a questa partita ci sono diverse scuole di pensiero che si stanno confrontando all’interno del mondo renziano e che partono tutte da una constatazione che, pur non potendola ammettere direttamente, in fondo condivide anche il presidente del Consiglio: gli sgravi contributivi sono una droga che rischia di vincolare la creazione di posti di lavoro solo agli aiuti del governo e sul lungo periodo, evidentemente, questo sistema potrebbe avere degli effetti gravemente distorsivi sull’occupazione. Detto ancora meglio: prima ci si deciderà ad eliminare la droga dello sgravio e prima si riuscirà a mettere la testa su quale potrà essere una strategia efficace per incoraggiare in modo naturale gli investimenti in capitale umano.

 

A quanto risulta al Foglio – ecco la notizia – le strade possibili che sta valutando Matteo Renzi sono quattro e vale la pena metterle insieme per capire non solo quale direzione imboccherà il governo ma anche quale tratto identitario sceglierà di dare il segretario del Pd al suo esecutivo su un tema cruciale. Droga oppure no?

 

La prima strada (sponsorizzata dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti) è quella del “contributo condizionato”: lo sgravio viene concesso non a chiunque assuma ma solo a quelle realtà imprenditoriali che dimostrano di avere alcuni particolari requisiti aziendali che il governo varerà caso per caso (un criterio, per esempio, è quello di approvare lo sgravio solo per le assunzioni che facciano aumentare gli addetti dell’azienda rispetto alla media dell’anno prima, in modo tale da evitare che i nuovi assunti siano in realtà solo vecchi assunti a cui il contratto è stato trasformato da determinato a indeterminato).

 

La seconda strada (sponsorizzata dal Mef e in particolare dal viceministro all’Economia Enrico Morando) è quella che prevede un criterio geografico: lo sgravio rimane anche nel 2016 ma viene concesso solo alle aziende del sud che decidono di investire in capitale umano (una variante a questa proposta è quella di lasciare lo sgravio anche per i disoccupati di lunga durata o per le donne).

 

[**Video_box_2**]La terza ipotesi, più ambiziosa, meno elettoralistica e forse più strutturale, è quella proposta dal dipartimento economico di Palazzo Chigi (in particolare da Tommaso Nannicini, uno dei consiglieri economici del premier) e prevede un criterio che potremmo sintetizzare così: fine dello sgravio e dunque della droga, e riduzione strutturale del cuneo contributivo sui contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti di sei punti percentuali: tre punti sarebbero a carico del lavoratore e tre punti sarebbero a carico del datore di lavoro. A Palazzo Chigi girano già alcune tabelle parziali con le simulazioni di questo modello e il risultato è questo: su un lordo di circa 2000 euro al mese, oltre ai tre punti di cuneo risparmiati dal datore di lavoro, il lavoratore avrebbe la possibilità di avere 60 euro al mese in tasca in più rispetto a quelli gia percepiti. Con quei 60 euro il lavoratore ha due opzioni: o tenerli in tasca (sapendo però che questi sessanta euro verranno tassati e che dunque diventeranno circa 40 euro netti) oppure investirli interamente e senza perdere un euro in un fondo pensione privato, favorendo quel processo (vecchio pallino di Modigliani) che in economia si chiama passaggio dal primo al secondo pilastro, e che permetterebbe dunque al lavoratore di compensare alla lunga quella diminuzione fisiologica di pensione a cui avrà diritto nel futuro causata dalla leggera diminuzione dei contributi (la diminuzione della pensione su un reddito da 2000 euro, secondo i primi calcoli ancora non definitivi, è stimata intorno al tre per cento). Così facendo naturalmente a rimetterci sarebbe in parte l’Inps che dovrebbe compensare in qualche modo gli effetti dei tagli. Ma per far fronte a questo problema l’idea sarebbe di prevedere per uno o due anni un contributo straordinario dello stato pari a un importo non troppo diverso da quello stanziato oggi per lo sgravio. Il piano dunque c’è. E’ un nodo che va risolto e studiato e sarà un nodo cruciale per capire qualcosa in più anche dell’identità del governo.

 

Droga o non droga? Sempre che poi alla fine, per ragioni elettorali, non si assecondi l’idea più semplice: lasciare tutto così ancora un anno e, anche per ragioni elettoralistiche, rinviare il problema. E dunque droga, e ancora droga. Ma siamo sicuri che, vista anche la ripresa lumaca, valga la pena di non provare qualcosa di nuovo? Toccherà che qualcuno ci rifletta.

 

Intanto buon Ferragosto a tutti.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.