Matteo Renzi (foto LaPresse)

Così Renzi perderà sia Roma sia Milano

Salvatore Merlo
Il premier avrebbe voluto mandare via Marino, ma ne è invece diventato il tutore. Avrebbe voluto renzizzare Milano, ma si è accorto che Pisapia è una risorsa e non solo un calcolo renale nell’organismo del centrosinistra.

Dovrà tenersi il sindaco che voleva mollare, e dovrà mollare il sindaco che voleva trattenere. Ed è in questa distonia tra volontà e realtà, tra azione e risultato, che Matteo Renzi sta realizzando tutti i presupposti perché il centrosinistra perda sia Roma sia Milano. E le due città si specchiano l’una nell’altra, ma soltanto per la confusione che in entrambe agita il Pd, perché Milano resta dignitosa e borghese, con le curve moderne del suo Expo e i verticali rettilinei dei grattacieli di corso Como, mentre la Roma del Giubileo e delle Olimpiadi si avvita nella sporcizia e negli scioperi bianchi, che non sono più la provinciale grandezza della città pigra e papalina ma la grammatica del degrado e del meridionale abbandono.

 

C’è dunque un sindaco tanto onesto quanto spaesato, Ignazio Marino – di cui Renzi disse: “Fossi in lui non starei tranquillo – che il Pd vorrebbe sfiduciare non meno di Rosario Crocetta in Sicilia, eppure non può: non esistono denti e solventi renziani per corrodere le mura del Campidoglio. E c’è un sindaco elegante, Giuliano Pisapia, non renziano ma d’una sinistra vincente, che a marzo ha annunciato di non volersi ricandidare nel silenzio compiaciuto di un partito, il Pd, in cui tutti già pregustavano il piacere composito di sostituirsi a lui e di occupare una poltrona così importante.

 

Così a Roma il Pd mangia sé stesso, irresoluto di fronte al fumante disastro dell’amministrazione comunale ereditata da Gianni Alemanno, mentre a Milano esplodono ambizioni e dunque risse sotterranee tra consanguinei, scontri di potere e di corrente, malizie contundenti che pochi giorni fa hanno spinto alle dimissioni il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, che era forse l’erede naturale di Pisapia.

 

[**Video_box_2**]Roma periclita e dà una pessima immagine di sé, Milano accende appetiti e lascia intravedere, a breve, affollatissime e rissose primarie di nomenclatura. E insomma anche nelle due capitali d’Italia, come nelle regioni del sud, governate dai cacicchi Emiliano, De Luca e Crocetta, ancora non si avverte il passo dell’innovazione e della rottamazione.

 

Renzi avrebbe voluto mandare via Marino, ma ne è invece diventato il tutore. Avrebbe voluto renzizzare Milano, ma si è accorto troppo tardi di aver a che fare con gli squali del Pd lombardo e che Pisapia in fondo non era un calcolo renale nell’organismo del centrosinistra, ma una risorsa e una soluzione. Adesso Renzi non ha un candidato per Milano, ha un sindaco dimezzato a Roma, e ha un partito in panne in entrambe le città.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.