Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Consigli non richiesti a Renzi su come rivoluzionare l'Europa germanizzata

Renato Brunetta
Lettera aperta al presidente Renzi, con consigli non richiesti per decisioni europee da prendere subito dopo il referendum greco. La Germania deve cedere l’eccesso di sovranità che esercita oggi sull’Europa, tagliando il proprio surplus e rinunciando a dettare regole di austerità che aggravano la malattia invece di curarla.

Lettera aperta al presidente Renzi, con consigli non richiesti per decisioni europee da prendere subito dopo il referendum greco. La Germania deve cedere l’eccesso di sovranità che esercita oggi sull’Europa, tagliando il proprio surplus e rinunciando a dettare regole di austerità che aggravano la malattia invece di curarla. Una prima ricetta? Reflazione; contractual agreements; euro bond; project bond; union bond; stability bond; unione di bilancio; unione economica; unione bancaria; unione politica; un grande piano di investimenti pubblici. E per la Grecia nuovo programma di liquidità dalla Banca centrale europea e utilizzo delle risorse del Fondo salva stati.

 

Signor Presidente del Consiglio, con la vittoria del “no” al referendum in Grecia, nulla in Europa sarà più come prima.
Partendo da questa constatazione, in spirito di collaborazione, nell’interesse del nostro paese, Le propongo alcune considerazioni da far valere in Unione europea, oggi, subito.

 

La valenza morale e politica dei consigli non richiesti che qui brevemente enuncerò si fonda su solide basi scientifiche, di cui fornirò le credenziali.

 

Mi permetto una petizione di principio, che sono certo condividerà. L’Europa, così come negli ultimi anni si è espressa nelle scelte davanti alla crisi, ha mostrato di aver dimenticato il sogno che l’ha generata come comunità di stati. Senza unità politica in prospettiva federale, dove i popoli non siano gerarchizzati di fatto in forza del loro peso economico, l’Europa muore e trascinerà con sé nell’abisso le nazioni che la costituiscono. 

 

Senza l’avvertenza di questa urgenza positiva, inutile stare a discutere. Dovremo solo rassegnarci a rallentare il più possibile una decadenza irreversibile, che non riguarderà solo il pil, ma la pace interna ed esterna, con il rischio che l’Europa diventi una mera espressione geografica, schiacciata tra due imperi.

 

Per questo si deve presto affrontare la necessaria revisione di trattati e regole, in chiave di democrazia sostanziale, percepita come tale dai popoli. Salvare la Grecia e cambiare l’Europa sono due facce della stessa medaglia.

 

Già da uno studio del Fondo monetario internazionale del 3 gennaio 2013, dal titolo “Growth forecast errors and fiscal multipliers”, che riprendeva e aggiornava una tesi del capoeconomista dell’istituto, Olivier Blanchard, esposta in un apposito box del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale di ottobre 2012, era emerso che le politiche di austerità e di rigore fiscale adottate nell’Eurozona negli anni della crisi avevano avuto effetti (negativi) sulla crescita maggiori del previsto e del normale. In altri termini, effetti superiori a quelli che le stesse misure avrebbero avuto sulla crescita in periodi di congiuntura economica positiva.

 

Già questo basterebbe per affermare che, date le condizioni, note a tutti, in cui versava l’area euro negli ultimi anni, le politiche economiche da adottare per fare fonte alla crisi erano ben altre.

 

In particolare, ad ottobre 2012 il Fondo monetario internazionale segnalava rischi di “avvitamento” delle economie dell’Eurozona, derivanti dalle stringenti manovre di consolidamento dei conti pubblici attuate dai governi in periodi caratterizzati da congiuntura economica negativa.

 

Secondo le analisi di confronto internazionale svolte dal Fondo monetario, alcuni errori di previsione della crescita, effettuati negli ultimi anni da quasi tutti gli enti preposti a tali stime, indicano la presenza di una sistematica sottovalutazione dell’impatto delle misure di rigore sulla crescita economica.

 

In base ai risultati presentati, i moltiplicatori effettivi sperimentati nei paesi avanzati nel periodo della crisi sono da 2 a 3 volte maggiori di quelli abitualmente utilizzati nelle analisi economiche.

 

Ciò implica che per ogni punto percentuale di pil di contenimento del disavanzo (al netto degli effetti del ciclo economico), la crescita economica di breve termine si riduce oggi di più di 1,5 punti percentuali, rispetto alla contrazione di mezzo punto percentuale che si registrava negli anni precedenti la crisi.

 

Ma non basta fermarsi alla generica affermazione della necessità di un superamento dell’austerità, come Lei ha fatto finora. Occorre formulare giudizi precisi, anche se questi La metteranno di certo in urto con la potenza egemone, dominante al punto da dettare a Romano Prodi una formula icastica, che descrive uno stato di cose inaccettabile per chiunque ami la democrazia e abbia l’orgoglio dell’appartenenza al proprio paese: “Berlino locuta, causa finita”.

 

Ricordiamoci che la Germania non è esente da responsabilità. Anche la Germania ha degli squilibri macroeconomici che nuocciono all’Europa. Mi riferisco all’eccessivo surplus delle esportazioni sulle importazioni, che dura da anni, anzi è aumentato negli anni.

 

Come ha recentemente ricordato anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, oggi un minimo sforamento del rapporto deficit/pil oltre il 3 per cento espone gli stati alla pubblica deplorazione, senza possibilità di appello, mentre il surplus della bilancia commerciale viene considerato elemento di virtuosità.

 

Al contrario, mentre un rapporto deficit/pil eccessivo produce conseguenze tendenzialmente solo per il paese che lo genera, i surplus commerciali hanno effetti negativi devastanti sulle economie di tutti gli stati dell’area monetaria unica.

 

In un’ottica di Europa solidale, pertanto, diventa prioritario sanzionare quest’ultimo comportamento, piuttosto che concentrarsi solo sul rapporto deficit/pil. Ne deriva un cambio di prospettiva nelle regole europee: l’eccesso di virtù (surplus) produce più danni dell’eccesso di deficit.

 

Per questo proponiamo la reflazione da subito in Germania, ma non solo. Reflazione significa aumento della domanda interna, quindi dei consumi, degli investimenti, dei salari, delle importazioni e, di conseguenza, della crescita, per il proprio paese e per gli altri paesi. E’ questa la parola d’ordine che deve segnare il cambio di passo nella politica economica europea.

 

Un gioco a somma positiva. Per tutti.

 

La crisi finanziaria, che afferra alla gola specialmente il Sud della zona euro, non si può più affrontare con misure lacrime e sangue. Questa posizione ha un fascino romantico, che sta tutto nel moralismo culturale tedesco, dove la parola “debito” è la stessa che si usa per “colpa”. I risultati della politica economica americana sono qui a dirci che non sono lacrime e sangue che fanno uscire dalla deflazione e dalla recessione, ma una politica di innesto di liquidità e di investimenti.

 

Va cambiata subito la terapia contro la crisi che a partire dal 2008 schiaccia l’Europa. I piccoli segni di crescita non sono infatti merito, seppur esiguo, della cura, ma di quanto la Banca centrale europea, pur nei suoi limiti, è riuscita a fare, unitamente alla favorevole congiuntura astrale determinatasi con la svalutazione dell’euro e il crollo del prezzo del petrolio.

 

La proposta immediata per far fronte alla crisi greca, restituendo fiducia ai popoli, è respingere con forza la volontà di alcuni, peraltro espressa fin troppo provocatoriamente dal ministro tedesco Schäuble, di espellere la Grecia dall’euro, dichiarandone il default e lasciandola andare per il suo destino.

 

Questa esclusione della Grecia avrebbe un esito politico devastante, con la crescita dei movimenti populistici e la susseguente frammentazione dell’Europa in stati che si guardano tra loro in cagnesco, mentre da Sud incombe la guerra dichiarataci dal Califfato.

 

Nell’immediato questa scelta rigorista e punitiva sottoporrebbe a una pressione insostenibile paesi volta per volta investiti dall’ondata speculativa.

 

[**Video_box_2**]Ovvio, la strada di scelte stataliste e di stampo assistenziale, che è la ricetta inaccettabile di Syriza, va biasimata e sottoposta a critica serrata. Ma questo giudizio non può e non deve diventare in nessun caso un’invasione della sfera di decisione e determinazione democratica dei singoli popoli. Il primato della democrazia, e la parità tra stati e popoli, vanno riaffermate con solennità nella pratica.

 

Per chiarezza, in estrema sintesi:

 

• La teoria ha dimostrato che le misure “sangue, sudore e lacrime” sono sbagliate e inefficienti, e che producono più costi che benefici.
• Pertanto, l’Unione europea deve “cambiare verso” a partire dal rilancio in grande stile delle 4 unioni: bancaria, economica, di bilancio e politica, in parallelo e in maniera sincronica. Al contrario, non è possibile che si stringano sempre di più i controlli e si definiscano meccanismi di sorveglianza sempre più vincolanti, senza che di pari passo si realizzi l’unione politica.
• Reflazione da parte della Germania e dimezzamento (almeno) del suo surplus nell’arco del prossimo triennio.
• Lancio di un grande piano di investimenti pubblici, che mobiliti risorse fresche e pari almeno al triplo di quelle previste dall’attuale piano Juncker, con la garanzia della Banca europea degli investimenti e approfittando degli attuali bassi tassi di interesse.
• Dar corso agli euro bond; project bond; union bond; stability bond.
All’interno di questo quadro può trovare finalmente soluzione la crisi greca, con un immediato rinnovo del programma di assistenza di liquidità di emergenza (Ela) da parte della Bce e l’utilizzo, anch’esso immediato, del Fondo salva-stati (Efsf-Esm), che nasceva proprio con questo spirito.

 

Mi permetta di confermare qui come Forza Italia sarà sempre in prima linea in un percorso autenticamente europeista. Costruiamo insieme il cantiere della nuova Europa.

 

Renato Brunetta è Capogruppo di Forza Italia alla Camera