Matteo Renzi (foto LaPresse)

Che succede se s'inceppa la macchina comunicativa del persuasore Renzi

Salvatore Merlo
Non tutte le intuizioni gli riescono col buco: possibile che Renzi abbia bisogno di un professionista della comunicazione, sul modello del consigliere obamiano Jim Messina? “Dopo gli 80 euro tutto in Renzi è stato comunicazione, e continua a esserlo”, dice Antonio Polito.

Roma. Da Vespa si attorcigliava su Ignazio Marino, che un po’ “se fossi in lui non starei tranquillo”, ma se il sindaco di Roma ci riesce “deve governare”. E intervistato da Gramellini sulla Stampa ha poi rievocato un mirabolante “Renzi 1” contrapposto al “Renzi 2” che invece funziona un po’ meno. E passi parlare di se stessi alla terza persona, come la regina Elisabetta; passi pure lo sdoppiamento simpaticamente bipolare dei due Matteo. Ma per uno tutto proiettato sul futuro come lui, uno che cioè vive nel tempo verbale dei profeti, dei maghi, dei rivoluzionari (ma anche dei ciarlatani), la sola idea di ripescare qualcosa dal passato – Renzi 1 – oltre a suonare incongrua, trasmette pure il sapore di un ripiegamento. Non tutte le intuizioni gli riescono col buco: possibile che Renzi abbia bisogno di un professionista della comunicazione, sul modello del consigliere obamiano Jim Messina? “Dopo gli 80 euro tutto in Renzi è stato comunicazione, e continua a esserlo”, dice Antonio Polito. “Ma forse non direi che il grande comunicatore si è bloccato. E’ ancora molto in alto nei sondaggi e, nel gradimento personale, è sempre il primo. E la cosa è sorprendente, a pensarci bene, dopo un anno logorante di governo, con la stagnazione economica. Dunque ci andrei cauto a dire che non sa più affabulare il pubblico. Se è ancora lì dov’è, se è ancora l’unico, la ragione è tutta nella sua capacità d’empatia. Semmai comincia a notarsi uno iato tra quello che lui chiamerebbe ‘story telling’ e la realtà, cioè tra il racconto e quello che il governo riesce davvero a fare. Lo story telling di Renzi presuppone che l’Italia sia il grande paese che guiderà l’Europa, per esempio. Ma in tutta evidenza non è così, e si vede. E lo stesso si può dire nel caso di Marino. Renzi vuole comunicare estraneità e distanza dal sindaco di Roma, ma poiché non può cacciarlo, si attorciglia. Al racconto non corrisponde un fatto. La sua comunicazione è continua, martellante, genera aspettative sempre nuove, individua continuamente un nuovo obiettivo, sempre più avanti. Ma è come una cavalcata delle Valchirie senza la musica di Wagner. Anche Blair faceva un po’ così, con i suoi white papers, che erano delle linee guida riformiste. E anche quelle di Blair erano talvolta suggestioni. Lo schema di Renzi è proprio questo, ma all’efficacia dello story telling quasi sistematicamente non segue l’intendenza, le salmerie”.

 

E insomma Polito dice che il problema è il governo. Eppure si avverte, per la prima volta, un po’ di fatica nella comunicazione. Esempio: Renzi aveva aggettivato la riforma della scuola. Una mossa geniale, visto che nei titoli dei giornali gli insegnanti si trovavano a protestare contro la “buona” scuola. Un paradosso. Poi tuttavia Renzi si è fermato. Adesso annuncia che non saranno assunti i precari, e la cosa gli si ritorce contro: lo accusano di volersi vendicare delle proteste. “E’ sempre la stessa meccanica”, risponde Polito. “Lui ingenera attese eccessive. Ha annunciato che avrebbe assunto centomila precari, e si è trovato contro i precari esclusi”. E sull’immigrazione, non è un po’ afasico? “Ecco l’immigrazione è stato il suo vero, forse unico, flop comunicativo. Renzi è stato ‘squincio’ fin dall’inizio, quasi assente, non ha trovato un racconto, e ovviamente una politica da fare. Anche perché, in realtà, una politica da fare non c’è. Sull’immigrazione si verifica una situazione lose-lose, ovvero qualsiasi cosa fai perdi. Perdi se fai la faccia feroce, che non solo non risolve il problema ma ti aliena la sinistra. E perdi pure se fai il buonista caritatevole che non piace all’elettorato del centro-nord. Renzi l’ha capito subito che non c’era niente da fare, ma non ha trovato il modo di ‘raccontare’ questo niente. E spesso è molto bravo a raccontare il niente”.

 

[**Video_box_2**]Esempio? “La sconfitta del Pd in queste ultime elezioni amministrative. Non ha perso lui, ma sono gli altri ad avere perso. Ha perso Casson. Hanno perso gli elettori di quelle primarie che ora lui dice di voler abolire”. Al primo turno se ne andò in Afghanistan per non ammettere una sconfitta che, dopo Venezia, non ha potuto ignorare. “Ma la gente, che per un buon 50 per cento non ha votato, lo ha sentito vicino: ‘one of us’, uno che invece di straparlare delle elezioni è andato tra i nostri soldati con la tuta mimetica”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.