Matteo Renzi e Felice Casson (foto LaPresse)

Camaleonti, giacobini e Casson

Salvatore Merlo
Emanuele Macaluso dice che a Venezia non ha soltanto perso il modello “spelacchiato e giacobino” del pm al potere, quell’idea “demenziale e pasticciata secondo cui ora arrivano i magistrati a fare pulizia e va tutto bene.

Roma. Emanuele Macaluso dice che a Venezia non ha soltanto perso il modello “spelacchiato e giacobino” del pm al potere, quell’idea “demenziale e pasticciata secondo cui ora arrivano i magistrati a fare pulizia e va tutto bene. Come se non avessimo già visto che non funziona così, e che anzi questa meccanica delegittima la magistratura, ne debilita la credibilità, e provoca pure guasti nel sistema politico”. Ma con la sconfitta di Felice Casson, magistrato da dieci anni in aspettativa (“poi che fa, non solo lui ma anche Michele Emiliano e tanti altri, ritornano a fare i pm?”), dice il vecchio riformista Macaluso, “ha anche perduto il neocamaleontismo italiano”, ovvero la logica dello specchio, quel principio secondo cui “faccio politica perché voglio vincere dicendo quello che la gente vorrebbe sentirsi dire”, e insomma cerco di vincere accarezzando e vellicando tutte le pulsioni dell’elettorato, sfiorando l’incoerenza pazzotica. “Casson ha cercato prima di ingraziarsi l’area più moderata e riformista della sinistra, scegliendo Nicola Pellicani, che lui aveva battuto alle primarie, come suo capolista. Poi ha però fatto una campagna elettorale tutta sulla sua biografia personale, di pm, di legalista e di anti renziano duro, da sinistra vecchio stile. E infine, di acrobazia in acrobazia, ha pure cercato i voti del Movimento 5 stelle, e ha firmato i loro ‘punti programmatici’. Ecco, il suo, come molti altri esempi venuti fuori in questa tornata di amministrative (penso a Michele Emiliano ma anche a Vincenzo De Luca) è stato una forma di trasformismo del ‘sinistrese’. I grillini vogliono la distruzione del sistema politico fondato sui partiti e il Parlamento: giocano a distruggere e mai a costruire alternative. La mossa di Casson ha quindi allarmato elettori, anche di centrosinistra, e non ha ottenuto voti dai grillini. Un capolavoro, no?”.

 

E Macaluso dice di essere preoccupato. “Ci sono i segnali di una crisi politica che si sta avvitando. Senza alternative. Prima tutti pensavamo che lo sbocco sarebbe stato Renzi, che lui avrebbe anche costretto la destra a riorganizzarsi. Ma il tentativo di Renzi sta implodendo nelle regioni e nei comuni: la Campania, la Puglia, la Calabria, persino Venezia. Vincono forze che si contrappongono radicalmente a Renzi, o comunque s’impongono personalità capaci di zampettare di qua e di là come ha tentato di fare Casson. E se guardi tutto con il grandangolo, da lontano, ti accorgi che il Pd non riesce a essere un partito. Lo governano questi cacicchi locali, trasformisti come Crocetta (che a Gela è stato punito), ex pm come Emiliano, o gente come De Luca che renziano proprio non è, mentre in Calabria c’è l’ex comunista Oliverio. Il Pd, il partito, dov’è sul cosiddetto territorio? Vedo che quel tentativo che aveva avuto il punto più alto di consenso alle scorse europee, puntando molto sul dinamismo, sulle qualità personali e l’energia di Renzi, si sta afflosciando. E quelle realtà che vengono fuori dalla provincia lo stanno mettendo in crisi. Ma tutta questa melassa un po’ informe che viene fuori dalle amministrative, questi potentati personali che stanno risucchiando la leadership di Renzi, non sono però un’alternativa. Non ci si fa niente. La fase è solo distruttiva.

 

[**Video_box_2**]E allora Macaluso dice che “a novant’anni passati temo che il paese venga lasciato al buio. I risultati dei ballottaggi nei comuni ci dicono che ormai le competizioni elettorali non sono tra partiti e schieramenti omogenei, ma tra notabili e aggregati di pezzi di partiti che non sono tali ma soltanto grossi o piccoli comitati elettorali. In Sicilia hanno perso i tre cacicchi Crocetta (a Gela), Crisafulli (a Enna) e Castiglione (a Bronte). E così si dimostra che queste non sono leadership ma fiammate, non sono alternative. Crocetta poi, come Casson, è stato un camaleonte: quello del rapporto con i 5 stelle, quello che si è affidato a Ingroia. Anche lui aveva tentato di andare un po’ con questi e un po’ con quelli, e oggi ha perso a Gela, che è la sua città. Nel Pd c’è chi ancora pensa a un partito articolato nel territorio e chi invece ancora pensa che si vinca con il carisma di Renzi e i capoccia locali. Il centrodestra in molti comuni ha messo in campo notabili ‘nuovi’ rispetto al passato, e quindi si presentava come alternativa vincente. Il risultato più significativo, in questo quadro, è appunto quello di Venezia. Ha vinto un imprenditore che sta con la destra ma ha detto e ripetuto, anche dopo le elezioni, che è indipendente e stima Renzi. Tipico segno dei tempi”.

 

E Macaluso scuote la testa. “Anche a destra non c’è più niente. Mettono insieme residuati di guerre perdute. E più che altro, dove vincono, non sono loro a vincere, come a Venezia. Infatti mi viene un po’ da sorridere quando Brunetta dice di aver vinto lui. Ma quando mai? In realtà il signor Brugnaro, il neo sindaco-imprenditore, gli uomini di Forza Italia non li ha voluti, e lo dice chiaro di non riconoscersi in nessun partito. Allora io temo una cosa, cioè che questo paese stia consumando la politica e le sue risorse. Temo che questo meccanismo soffochi Renzi e senza tuttavia produrre nessuna alternativa di sistema. E la cosa è stata evidente a Venezia, dove ha vinto l’imprenditore senza partiti contro il quale correva il pasticcio del magistrato in politica, un po’ di sinistra, un po’ moderato e un po’ grillino”. Qualche settimana fa, Armando Spataro, procuratore della Repubblica a Torino, ha criticato i magistrati che fanno il mestiere degli altri: “Il vizio più pesante della magistratura è la tendenza a porsi come moralisti, come storici, cioè pensare che tocca ai magistrati moralizzare la società”. Dice Macaluso: “E io sono perfettamente d’accordo. Affidargli la politica è stato un errore madornale che ha danneggiato l’ordine giudiziario, lo ha reso sospetto, e senza per giunta portare nulla di buono alla politica, se non quel camaleontismo che oggi è di Emiliano, come lo è di Casson, e come un tempo apparteneva a Di Pietro. E siamo nella patologia, purtroppo. E questa crisi politica non ci aiuta affatto ad affrontare la crisi economica”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.