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“L'antimafia ha un progetto politico”

Salvatore Merlo
Chi gioca con gli impresentabili? J’accuse nel Pd contro Bindi & co. Rottamati contro rottamatore. Una storia infinita, inzuppata nel rancore, nella diffidenza, adesso persino nel sospetto di tradimento.

Roma. “La verità è che nel nostro partito è in corso una guerra intestina. Non è più un dibattito tra maggioranza e minoranza. Anzi. Non c’è più nemmeno una minoranza, ma un gruppo di infiltrati al servizio di un altro progetto politico”, mormora Stefano Esposito, senatore del Pd, amico di Matteo Orfini, membro della commissione Antimafia. “Forse, e lo dico con amarezza, è tempo di divorziare. Prima che sia troppo tardi. Se si continua così il partito muore. Che si sappia”. E quello che tutti pensano, le parole che divampano con francasso di rovina nelle stanze di Largo del Nazareno, le pronuncia il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti (Pd): “C’è una parte di noi che fa campagna contro il suo stesso partito. E la tempistica con cui tutta questa faccenda della commissione Antimafia di Rosy Bindi va avanti è, per così dire, sospetta. La rivincita su Renzi passa dal tentativo di far perdere le elezioni al Pd. Ed è molto grave”. Rottamati contro rottamatore, dunque. Una storia infinita, inzuppata nel rancore, nella diffidenza, adesso persino nel sospetto di tradimento. Riprende Esposito: “Io dico, vuoi fare delle verifiche sulle candidature? Benissimo. Ma falle prima. Non a due giorni dal voto. C’è qualcosa che non va. Le liste elettorali sono pubbliche da quarantacinque giorni. Quarantacinque!”. E il riferimento alle vendette, alla guerriglia, ai dispetti, riguarda Bindi, certo, ma anche Massimo D’Alema che in Veneto dicono stia “disincentivando” i compagni a votare per Alessandra Moretti. E i sospetti non sono soltanto su di loro. Tira un’aria pesantissima. Ieri mattina, nel partito che si contorce tra reciproche accuse e paure, in tanti sono rimasti colpiti dall’intervista che Roberto Speranza, ex capogruppo alla Camera, ha rilasciato al resto del Carlino: “Basta sbagliare. Chi ha scelto gli impresentabili pagherà caro”. Così a due giorni dal voto l’immagine del Pd non potrebbe essere meno solida e più compromessa di così.

 

Il senatore Enrico Buemi non fa parte del Pd, è socialista, ma è membro dell’ufficio di presidenza della commissione Antimafia. E sostiene che la commissione non abbia nessun “diritto di distribuire patenti di candidabilità”. Lo spiega: “Credo che se un uomo politico riceve un avviso di garanzia sarebbe meglio non si candidasse, ma è una questione di opportunità politica. Per tutto il resto c’è la legge. E la legge stabilisce che tutte le persone che la commissione sta bollando come ‘impresentabili’ sono candidabili”. Perché allora compilate una lista nera? “Perché la presidente Bindi, il vicepresidente Fava e i membri del M5s hanno preso l’iniziativa. Cosa che non rientra nelle nostre competenze. La commissione non è obbligata dal codice di autoregolamentazione a intervenire”. E dunque, Buemi quasi rafforza i sospetti del Pd: “C’è una precisa scelta politica che rientra in una disdicevole logica di strumentalizzazione. E si accompagna, per giunta, a una fuoriuscita di informazioni. Per cui i nomi contenuti nella lista, da giorni, finiscono anticipati sui quotidiani”. E chi li dà i nomi? “Li conoscono soltanto i membri dell’ufficio di presidenza”. Di cui fa parte il presidente Bindi, ovviamente. “Assieme ad altri, me compreso”. E nella lista, che sarà pubblica soltanto oggi, risulta persino un assolto: Massimiliano Oggiano, candidato in Puglia nelle liste di Raffaele Fitto. Assolto in primo grado, ma oggetto di ricorso da parte della procura. Dunque impresentabile. “I criteri sono assolutamente arbitrari”. E così davvero tutti pensano che si stia consumando la vendetta dei rottamati. I sondaggi, in Campania, oscillano paurosamente. “In questi giorni sono stato male, e ho guardato molta televisione”, dice Esposito. “E sa cosa ho visto?”. Cosa? “Non c’è talk-show mattutino, pomeridiano e serale in cui non si presenti un esponente del Pd che attacca il Pd. Non può andare avanti così. L’equivoco va sciolto. Lo dico con estrema sofferenza, ma per evitare che il Pd muoia è necessario un divorzio traumatico o consensuale dalla minoranza. Chi pratica questa guerriglia, e chi sta a guardare senza intervenire, lo sappia. Il Pd in questo modo finisce”. Chi è che sta a guardare? “Lotti, Guerini, Renzi”. E cosa dovrebbero fare? “Nel Pci facevamo le espulsioni. Per molto meno”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.