Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Al voto al voto! E così anche Renzi ha bisogno del Cav. giaguaro da smacchiare

Salvatore Merlo
“Venti anni di centrodestra hanno lasciato macerie”, ha sparato Renzi, scoprendo d’un tratto la grammatica dell’antiberlusconismo. Anche l’Italia politica ha ritrovato il suo lupo, l’antieroe necessario, come se la presenza scenica del Cavaliere non fosse stata minimamente scolorita dalle amarezze giudiziarie, dalle frustrazioni elettorali, dalla collera politica.

Persino Matteo Renzi, che furbone vuole mobilitare i suoi elettori troppi sicuri di vincere, oppresso com’è dall’impossibilità di escogitare una difesa per mancanza d’un attacco, s’è messo improvvisamente a evocare lo spettro del Cavaliere, mezzo Mangiafuoco e mezzo spaventapasseri. “Venti anni di centrodestra hanno lasciato macerie”, ha sparato Renzi, scoprendo d’un tratto la grammatica dell’antiberlusconismo. E poi: “Spero che in Liguria ce la si faccia”, come se davvero Giovanni Toti e Forza Italia potessero. “Civati è il migliore amico di Berlusconi”, come se acquattato dietro un cespuglio ci fosse ancora il vecchio giaguaro da smacchiare.

 

E inconsolabili per il giorno fatale in cui il mondo si spense di colpo, come se qualcuno avesse girato un interruttore (Berlusconi incandidabile! Oddio che facciamo?), gli amici e soprattutto i nemici del Cavaliere, fiero il cipiglio, marcato il profilo, deciso l’approccio, hanno adesso costruito un Berlusconi percepito, favolistico eppure essenziale alla trama. E così, come ogni favola che si rispetti, anche l’Italia politica ha ritrovato il suo lupo, l’uomo nero, lo sfidante, l’antieroe necessario, il deuteragonista, come se la presenza scenica del Cavaliere non fosse stata minimamente scolorita dalle amarezze giudiziarie, dalle frustrazioni elettorali, dalla collera politica; come se i suoi lunghi calvari non ne avessero opacizzato il carattere combattivo, la vivacità di linguaggio e la pericolosità elettorale.

 

[**Video_box_2**]Nessuno, nemmeno Renzi, forse per miopia d’immaginazione, ha però trovato un’altra sfera, l’idea, l’oggetto che potesse nutrire e riattivare queste torpide elezioni che sprigionano un gelo da ufficio contabile, una noia di cancelleria provinciale infestata dalle mosche e dalle clientele. Titolo uno (giornale di destra): “Ora Renzi ha paura”. Titolo due (Vernacoliere invidiosetto di Fabio Fazio): “Piero Angela per farlo sentire giovane”. Titolo tre (giornalone di sinistra): “Per Renzi anche il 4 a 3 alle regionali sarebbe una vittoria”. L’oggetto è sempre Lui, Silvio, inevitabile come l’ingrediente base di un menù altrimenti sciapo, imprescindibile, sia per i consanguinei che ovviamente lo vogliono motivare (“nel 2018 ritorna”, promette Mariarosaria Rossi), sia per quelli a lui collegati da un rapporto ombelicale, intimo e antico, quelli davvero inconsolabili, come quel tale che in televisione, invece di fargli le domande, dal Cavaliere si faceva spolverare la sedia.

 

E il fenomeno diventa elettrizzante quando sfocia nell’allarme, nel vaticinio, nel cicca cicca, nel mettere in guardia, nella gioia di potere riavere Silvio come nemico, nel potersi specchiare nella sua supposta vitalità, mentre Lui, in realtà, tra Ancelotti e il Milan, tra Raffaele Fitto e Matteo Salvini, tra eredi veri e trasognati, tra accordi con Murdoch e con Bolloré, più che altro dimostra l’impazienza di chi in queste elezioni si è sobbarcato una gran noia e vuol farla finita al più presto.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.