Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano (foto LaPresse)

Al Viminale ogni scherzo vale

Alessandro Giuli
Da Shalabayeva a Touil, così tramonta il ministero di Crispi e Scelba - di Alessandro Giuli

C’era una volta il ministero dell’Interno, poi è arrivato Angelino Alfano. Il Viminale un tempo era cosa davvero serissima, labirinto di molteplici verità indicibili dal quale l’esperto ministro del caso (storicamente un democristiano) lasciava di tanto in tanto trapelare una verosimiglianza accolta nel discorso pubblico come verità indiscutibile. Insomma un posto di poche parole, nel quale le carriere si costruivano avvolgendole in un silenzio gommoso, tramite azioni cadenzate da passi sicuri e lenti.

 

Il feudo in chiaroscuro che fu presieduto, fra tanti, da Francesco Crispi, Antonio Salandra, Benito Mussolini, Mario Scelba, e poi Mariano Rumor, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti e Oscar Luigi Scalfaro, si è contraddistinto per essere un riverito santuario di sospetti e retropensieri, oltreché il combustibile per formidabili ascese politiche e personali (vedi anche il caso di Roberto Maroni). Ma mai – con l’eccezione del gaffeur Claudio Scajola, subito punito – era giunto al livello di scarsa credibilità cui l’ha condotto Angelino Alfano. Dal caso Shalabayeva a quello di Abdel Majid Touil, il ragazzo marocchino appena arrestato dall’Italia per conto del governo tunisino (un unicum destinato a fare scuola), passando per le tragicommedie sui migranti, sulla loro destinazione e sulla malriposta illusione di obbligarli a lavorare gratis, il mandato di Alfano è stato tutto un susseguirsi di scivoloni indifendibili. Risultato: forse il suo partito di riferimento, Ncd, avrà acquisito un raggio di luce in più nell’interesse mediatico; ma a che prezzo, se l’effetto collaterale è che la verità timbrata dal Viminale mai come oggi risulta contendibile, depotenziata, svilita e irrisa perfino?

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