La manifestazione contro la riforma della "Buona scuola" dello scorso 5 maggio a Roma (foto LaPresse)

La Buona scuola è più di una riforma, è made in Italy di idee

Davide Faraone
Autonomia, responsabilità, valutazione. Scuola e lavoro. Stiamo mettendo insieme mondi che erano separati. Il sottosegretario all'Istruzione scrive al Foglio.

Al direttore - Non esiste istituzione in Italia che appartenga di più agli italiani della scuola. La scuola è la nostra identità collettiva. Tuttavia, ogni volta che si parla di scuola in Italia, gli italiani escono dal campo da gioco ed entrano in campo i “sindacalisti della scuola”. Noi vogliamo cambiare il paradigma, ma anche il suo racconto, “desindacalizzandolo”.

 

Vogliamo consentire a tutti di parlare di istruzione, non soltanto alle Rsu. Eppure qualcosa non deve essere andato. Mi hanno colpito i numeri dei sondaggi pubblicati qualche giorno fa da Nando Pagnoncelli sul Corriere: solo il 2 per cento degli italiani ha detto di conoscere nel dettaglio la riforma e il 26 per cento i principali punti. La maggioranza assoluta sa solo che se ne sta discutendo. Il paese ha bisogno di riforme e queste riforme vanno fatte insieme. Vogliamo abolire il precariato nella scuola e con esso i termini astrusi che si porta dietro: Tfa, Pas, Gis, Gae. Vogliamo parlare di “assunzioni” e non più di “reclutamento”, neanche fossimo nell’esercito. Sappiamo che dietro quegli acronimi ci sono persone in carne e ossa. Per questo abbiamo deciso di dire basta a tutto questo. Gli insegnanti custodiscono il patrimonio più importante di questo paese. L’istruzione, la formazione, la crescita dei nostri figli. Non ci possiamo permettere approssimazione nella selezione di chi ambisce all’insegnamento, non possiamo permetterci di non valutare la qualità della didattica. Sappiamo che questo è il miglior modo, insieme a una giusta retribuzione, per restituire dignità al ruolo dell’insegnante.

 

Assumiamo chi serve alla scuola. E dal 2016 per la prima volta a dirci quali cattedre dovremo mettere a concorso non saranno conti di funzionari ministeriali (spesso sbagliati, come dimostra l’alto numero di idonei senza cattedra per l’ultimo concorso), ma le scuole. Ogni scuola ci dirà quali docenti mancano per la propria offerta formativa e noi indiremo il concorso sulla base delle loro indicazioni. E’ il tassello di un mosaico più grande, un mosaico che racchiude il percorso che stiamo facendo per cambiare il futuro del paese a partire dai luoghi in cui questo futuro gemma e cresce.

 

La scuola è stata depositaria della secolare tradizione culturale italiana. Dietro ai banchi abbiamo imparato cosa vuol dire essere italiani, abbiamo costruito la nostra identità, abbiamo conosciuto la nostra storia e l’abbiamo confrontata con le storie degli altri. Dietro i banchi deve crescere la consapevolezza del nostro patrimonio artistico e culturale e con questa l’orgoglio per il nostro genio. Un genio che abbiamo sempre inconsciamente ritenuto spontaneo, che va messo a frutto per diventare motore di crescita (economica, sociale e culturale) per il nostro paese: è qualcosa che ci è dato per natura, ma che va promosso, valorizzato e salvaguardato sia nel territorio nazionale che all’estero. Abbiamo presentato un emendamento che introduce tra le deleghe del ddl “La Buona Scuola”, che riguarda il potenziamento della formazione nel settore delle arti e del Made in Italy in tutti i cicli e i gradi della scuola. Vorremmo che le scuole – da sole o in rete – dialogassero con soggetti terzi per apprendere le specificità italiane legate all’alta qualità artistica, culturale, artigianale e per spendere queste nuove competenze nei settori di ripresa della nostra economia.

 

Pensiamo di realizzare al Miur una cabina di comando che finalizzi le risorse comunitarie su progetti che legano la scuola al Made in Italy. Da questo punto di vista Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, può diventare “l’Invitalia” del ministero dell’Istruzione, per l’esperienza maturata e per la capacità di proporre progetti innovativi che cambiano la didattica tradizionale, collegandola di più al mondo del lavoro e alla società, per realizzare questa missione del governo nazionale che investe sul futuro del paese. Basta risorse sperperate come i coriandoli. Un’unica grande missione, le ricchezze italiane nel mondo, su cui canalizzare le risorse comunitarie e non.

 

Scuole e università, insieme

 

Formare una classe dirigente, costruire una coscienza civica, costruire consapevolezza di ciò che vuol dire essere italiani è stata e rimane la missione di scuola e università italiana. Ma accanto al concetto di “Scuola” al singolare, va rafforzato il concetto di “Scuole” al plurale. Se il ruolo di scuola e università è ben chiaro, parallelamente possiamo fare un salto in avanti se parliamo di scuole e università, cui spetta – ciascuna in base alle proprie esigenze e al territorio in cui si trova – di scegliere autonomamente in che modo declinare questo patrimonio per i propri studenti. Scuole e università. Un plurale che non parcellizza, ma che, al contrario, dà spazio a ogni singola realtà per portare alla luce la propria eccezionalità.

 

L’autonomia scolastica, architrave del disegno di legge in esame alla Camera, va in questa direzione: c’è un dirigente scolastico che è responsabile dei risultati della sua scuola e per questa sceglie il meglio (offerta formativa, docenti, relazioni con il territorio) nell’ottica di formare ragazzi forti dei tratti identitari che tutto il mondo ci invidia, ma anche in grado di coniugare la tradizione con l’innovazione. In grado di immaginare un futuro e di cominciare a praticarlo. Stessa cosa vale per l’autonomia universitaria e nel campo della ricerca: nel Piano nazionale di ricerca, per la prima volta, abbiamo delineato una strategia nazionale complessiva. In un unico documento abbiamo raccolto tutti i fondi e i finanziamenti alla ricerca, nazionali e comunitari. Ambiente, salute, patrimonio, tecnologie, innovazione… Ogni ambito di ricerca è stato ricompreso in un orizzonte di azioni e di programmazione, inserendo anche in questo caso il brand Made in Italy, sigla del talento italiano, che ci rende competitivi nel mondo e che il mondo ci chiede.

 

[**Video_box_2**]L’autonomia è lo strumento principale attraverso il quale raggiungere questi obiettivi. Non è una fotografia, né in ambito scolastico né in ambito universitario. Vogliamo che scuole e università che risultano stare in dietro possano avere strumenti e risorse per mettersi al passo, mentre quelle che hanno i requisiti per farlo possano avere ali per spiccare il volo a livello internazionale. Scuole e università devono diventare luogo di affermazione – reale – del merito, fermo restando che questo non vuol dire distribuire la cultura in maniera poco equa. Deve valere – come vale già – per gli studenti, ma anche per gli insegnanti, i dirigenti scolastici, i rettori, le scuole e le università nel loro complesso. Perché la valutazione può essere uno strumento per misurare il miglioramento di uno studente ma diventa invece un mezzo di competizione tra gli insegnanti? Il loro ruolo è talmente importante che non può rimanere immune da valutazione. Una valutazione che non serva a punire o premiare, ma a migliorare. Autonomia, responsabilità e valutazione. Non si può prescinderne. Creiamo un preside, non manager ma sindaco, che collabora con il collegio docenti, con il consiglio d’istituto e con il territorio per le scelte strategiche. Che ne è responsabile e per questo verrà valutato. In maniera trasparente. Nessun intento inquisitorio. Solo la volontà di capire cosa va e può andare meglio, cosa non va e deve andare. E va tutto quello che riesce a collaborare affinché i tasselli del mosaico si incontrino per creare l’immagine complessiva della crescita dell’Italia. Prendiamo il contratto di apprendistato, un contratto finora inutile perché la realtà sulla quale si innestava non era pronta a recepirlo. L’alternanza scuola-lavoro prevista obbligatoriamente nel ddl “La Buona Scuola” – 400 ore negli istituti tecnici e professionali, 200 nei licei – abbatte il muro che separa scuola, università e lavoro e dà vigore al cambiamento.

 

Certo, la sinistra ideologica è pronta a gridare allo scempio, a dire che il rapporto tra scuole e imprese rischia di rendere la prima subalterna e schiava della seconda, qualcuno ci ha detto che abbiamo consegnato le chiavi della scuola a Marchionne. Conservatori. Noi finalmente facciamo dialogare mondi che inspiegabilmente finora sono stati separati. Creiamo sinergia. Abbattiamo steccati. E’ un cambiamento rivoluzionario, ne siamo consapevoli. Eppure fare un investimento di fiducia sul futuro, mettendo a frutto le risorse che abbiamo per natura e per tradizione, è un atto dovuto per i nostri ragazzi. Il coraggio per compiere il salto non ci manca. E non manca neanche agli italiani.

 

Davide Faraone è sottosegretario all’Istruzione

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