Matteo Renzi con Alexis Tsipras (foto LaPresse)

Tsipras fu eletto con qualcosa di quasi identico all'Italicum. Cosa diceva allora la sinistra italiana?

Luciano Capone

Dalle posizioni sulla legge elettorale della sinistra anti-renziana che viaggia sulla tratta Atene-Roma si capisce che “svolta autoritaria” e “vittoria democratica” si assomigliano molto, ma la “svolta autoritaria” la riconosci perché è sempre quella degli altri.

Quando meno di quattro mesi fa Alexis Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia, la stragrande maggioranza degli osservatori, fossero essi politici, commentatori o intellettuali, ha parlato di “svolta democratica”. L’affermazione di Tsipras è stata una “vittoria della democrazia”, con dei risvolti che avrebbero superato i confini greci per colpire al cuore la tecnocrazia di Bruxelles e l’austerity dell’Europa. Fu la “riscossa di un popolo umiliato dalle micidiali politiche della Troika”, come affermava il leader di Sinistra e Libertà (Sel), Nichi Vendola. La sinistra anti-renziana più o meno radicale, generalmente divisa in diverse sigle di partito, si è ritrovata unita nella brigata Kalimera sotto al palco del compagno Alexis a cantare “Bella ciao” la sera della vittoria in cui si festeggiava la liberazione democratica.

 

Uno scenario opposto al panorama politico italiano dove con l’approvazione dell’Italicum voluto da Matteo Renzi quelle stesse forze hanno assistito a una vera e propria “svolta autoritaria”, quella che incombeva sulla nostra democrazia da ormai venti anni. I deputati di Sel, partito gemellato con Syriza, si sono ribellati lanciando crisantemi in Aula: “Oggi noi ci troviamo davanti al funerale della democrazia”, ha detto solennemente il capogruppo Arturo Scotto.

 

Filosofi, intellettuali e persone della mitica società civile che hanno appoggiato la cavalcata popolare e democratica di Tsipras hanno denunciato lo “spirito anticostituzionale” dell’Italicum, le pulsioni “bonapartiste” insite nelle riforme nazarene e il rischio di scivolare in una “democratura” di stampo putiniano, un mix di democrazia formale e dittatura sostanziale. Decine di deputati della minoranza del Pd, anche loro andati sotto il Partenone poche settimane fa, hanno votato contro il leader del proprio partito.

 

Eppure la legge elettorale che ha permesso ad Alexis Tsipras di diventare capo del governo in Grecia non è molto dissimile dall’Italicum, soprattutto per quanto riguarda i punti più criticati della nuova legge. La travolgente rivoluzione popolare di Alexis Tsipras in realtà contava sul consenso di soli 36 elettori greci su 100, voti che si sono trasformati nel 50 per cento dei seggi grazie a un generoso premio di maggioranza di 50 seggi (oltre il 16 per cento dei seggi totali) che in Grecia viene assegnato al primo partito (come prevede l’Italicum) e senza alcuna soglia (l’Italicum invece prevede che per ottenere il premio di maggioranza si debba ottenere almeno il 40 per cento dei voti, altrimenti si va al ballottaggio). Anche in Grecia è prevista una soglia di sbarramento come l’Italicum che tiene fuori dal Parlamento i partiti che prendono meno del 3 per cento dei consensi e anche in Grecia è prevista una quota di seggi assegnati con liste bloccate. In pratica la legge elettorale che ha portato Tsipras al governo contiene tutti gli elementi che nell’Italicum sono ritenuti autoritari, con l’aggravante di un premio di maggioranza assegnato alla prima lista, senza alcuna soglia.

 

[**Video_box_2**]Ma a differenza della Grecia, con l’Italicum non è possibile che Renzi o chi per esso diventi primo ministro senza aver superato il 40 per cento dei voti, perché per ottenere il premio di maggioranza dovrà vincere il secondo turno. Un passaggio democratico che non ha dovuto sostenere Alexis Tsipras, divenuto primo ministro con poco più di un terzo dei voti. Ma come è possibile che leggi elettorali così simili producano reazioni così diverse? Come si fa a distinguere un sistema democratico da uno autocratico? Dalle posizioni sulla legge elettorale della sinistra anti-renziana che viaggia sulla tratta Atene-Roma si capisce che “svolta autoritaria” e “vittoria democratica” si assomigliano molto, ma la “svolta autoritaria” la riconosci perché è sempre quella degli altri.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali