Matteo Renzi (foto LaPresse)

Nuove forme di governo e numeri?

Pasquale Pasquino
E’ possibile che il prof. Ainis non stesse troppo bene, come suggerisce lui stesso, quando ha scritto l’articolo uscito sul Corriere della sera di stamane 30 aprile.

E’ possibile che il prof. Ainis non stesse troppo bene, come suggerisce lui stesso, quando ha scritto l’articolo uscito sul Corriere della sera di stamane 30 aprile. Di questi tempi, nei quali è di moda stracciarsi le vesti, l’ultimo grido è quello che annuncia per colpa dell’Italicum il mutamento della nostra forma di governo. Si invocano i padri costituenti, che certo non avrebbero apprezzato questa chiassosa e ingiuriante assemblea, ma hanno stabilito in Costituzione un sistema parlamentare che, sul classico modello inglese, vuole che il primo ministro sia responsabile difronte alla sua maggioranza – non certo di fronte all’opposizione, questo sì sarebbe un incredibile cambiamento di forma di governo. I padri costituenti non hanno detto certamente che la forma di governo parlamentare (che si oppone al presidenzialismo, dove il capo dello stato non può essere sfiduciato dal parlamento) doveva coincidere con un pentapartito o con un qualunque governo di coalizione. Questa è una definizione nuova e forse brillante del parlamentarismo, di cui non c’era traccia in dottrina.

 

Intanto ed ex abundantia cordis fra giornali e dibattiti in parlamento si è inventata una nuova forma di governo: il presidenzialismo de facto! Cioè l’elezione diretta del primo ministro. Che però restando responsabile dinanzi alla maggioranza non è presidenziale né di fatto né di diritto. E’ un primo ministro e basta come Margaret Thatcher che dovette lasciare il suo posto per un voto di sfiducia della sua maggioranza, come al solito monocolore nel Regno Unito.

 

In realtà è un po’ di tempo che il primo ministro in Italia è il leader della maggioranza che vince le elezioni. Prodi e Berlusconi sono stati di fatto portati a Palazzo Chigi il giorno delle elezioni. Ma entrambi sono stati disarcionati quando una componente della coalizione di maggioranza ha pensato che i suoi interessi di parte non coincidevano più con quelli del governo e del paese.
L’Italicum dovrebbe impedire questo potere di vita e di morte sui governi per i più piccoli gruppi politici, ma resta interamente nello schema del parlamentarismo di matrice inglese.

 

Ainis, inoltre, non ne vuole sapere dei “numeri” e predica “idee”: Eccole: 5 per cento invece di 3 per cento come soglia di sbarramento per accedere alla rappresentanza; 45% in vece di 40 per accedere al premio eventuale al primo turno; bonus (“numeri” di seggi in più) non solo per chi vince ma anche per il secondo arrivato.

 

[**Video_box_2**]Dove si vede che per quanto si dica in democrazia non si può fare a meno di numeri, e si rischia di imbrogliarsi le idee!

 

Non numeri ma legittimità, sembra ben detto. Ma fuori della grazia divina per le assemblee parlamentari la legittimità viene solo dai numeri. Il problema più grave per il paese non è la legittimità, ma la reputazione del suo governo. Ed è su questa battaglia che Renzi vincerà o perderà la sua scommessa. Poco importa se con la soglia del 3 del 4 o del 5 per cento.  

 

Pasquale Pasquino

New York University

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