Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Così può nascere un buon accordo Renzi-Berlusconi per stabilizzare la Libia

Giorgio Tonini
La gravità della situazione nel sud del Mediterraneo impone un salto di qualità sul piano politico. "Basta con le contrapposizioni. Questo è il momento dell’unità e dell’azione", ha detto il Cav.

C’è voluto Berlusconi per spezzare la spirale demagogica e populista, che non esita a piegare alla piccola propaganda della politichetta italiana perfino la immane catastrofe umanitaria che si va consumando nelle acque del Mediterraneo. “Di fronte a quest’ultima tragedia, basta con le accuse e le contrapposizioni. Questo è il momento dell’unità e dell’azione, non delle divisioni e dei contrasti”. Così l’ex premier, che ha lanciato la proposta, subito pubblicamente apprezzata da Renzi, di un tavolo bipartisan, dove ciascuno possa mettere a disposizione le proprie esperienze per porre fine a queste sciagure. C’è da sperare che il ritrovato asse tra governo e almeno una parte dell’opposizione, su quella che è oggi la principale questione di interesse nazionale, serva a sgomberare il campo dalle due polemiche inutilmente divisive degli ultimi mesi e giorni. Da un lato, a sinistra, la polemica sulla cessazione di "Mare nostrum" e la sua sostituzione con la missione europea "Triton": una vicenda che, al di là degli evidenti, gravi limiti della missione europea, è stata assai probabilmente del tutto irrilevante rispetto alla tragedia di domenica scorsa, nella quale, a quanto sembra di capire, non sono mancati i soccorsi, che sono arrivati e in tempo, ma ci si è scontrati con l’impossibilità tecnica di evitare il rovesciamento di una imbarcazione riempita all’inverosimile di persone in preda al panico. Non a caso, salvati e sommersi hanno purtroppo accompagnato la vita di entrambe le operazioni di pattugliamento. Dall’altro lato, a destra, le proposte tanto aggressive nei toni, quanto vaghe e vacue nei contenuti concreti, di blocco navale: una misura che, a meno che non significhi occupazione militare della Libia, dovrebbe attestarsi in acque internazionali. E a quel punto, non potendo né prendere i barconi a cannonate, né respingere i profughi in Libia, mancando un’autorità legittima a cui consegnarli, non si potrebbe che soccorrerli, farli salire a bordo delle nostre navi e accompagnarli nei nostri porti. Più o meno quello che si sta già facendo e che a detta di tutti non è più sufficiente.

 

Il tavolo proposto da Berlusconi dovrebbe servire a spiazzare le facili semplificazioni, perlopiù cinicamente strumentali, e di richiamare l’attenzione del paese sul fatto che, a poche miglia nautiche dalle nostre coste, c’è la guerra, anzi la terza guerra mondiale, come l’ha definita Papa Francesco. Una guerra disordinata e frammentata, che ha come epicentro il mondo arabo-islamico, dall’Afghanistan fino alla Libia, passando per Medio Oriente e mezza Africa. Dunque una tragedia che avvolge nelle sue spire centinaia di milioni di esseri umani. Una guerra che ha già fatto centinaia di migliaia di morti e ha messo in moto milioni di profughi, non emigranti in cerca di fortuna, ma gente che mette insieme quel che ha per scappare dalla morte, dalla violenza, dalla persecuzione. Una guerra che continua a scaricare migliaia di vittime nelle acque a ridosso delle nostre coste, le coste italiane, le coste europee.

 

[**Video_box_2**]Proprio la gravità della situazione, impone un salto di qualità sul piano politico. Innanzi tutto prendendo atto che la dimensione del problema impone un passaggio di scala, dal livello nazionale a quello europeo. E dalla logica dell’emergenza a quella strutturale. Non si tratta di un piagnisteo italiano o mediterraneo: l’Italia ha sempre fatto e continuerà a fare quello che serve, mettendo in campo tutto quello che può. Si tratta di capire che sono in atto rivolgimenti che chiedono un intervento dell’Europa come tale, sia diretto (cominciando da una revisione in chiave solidaristica del regolamento di Dublino), che in seno alla comunità internazionale.

 

Innanzitutto sul terreno decisivo, quello politico-diplomatico, ove necessario supportato anche da un uso adeguato della forza militare, della stabilizzazione della Libia. E’ cosa buona e giusta sostenere senza riserve il tentativo dell’inviato dell’ONU, Bernardino Leon. Ma il negoziato tra le fazioni libiche non può essere privo di un calendario stringente e cogente per tutte le parti coinvolte. Solo un’Europa che parli, se non con una sola voce, almeno all’unisono, può mettere in campo la forza di pressione necessaria a sbloccare la situazione in tempi utili a salvare centinaia se non migliaia di vite umane.

 

Accanto al terreno politico-diplomatico, c’è quello di polizia internazionale, finalizzato alla lotta determinata e inequivoca ai nuovi schiavisti, ai negrieri del nostro tempo, ai trafficanti di esseri umani, chiaramente collegati con le centrali del terrore e i signori della guerra, in Libia e non solo in Libia. Su questo punto, è venuta l’ora di chiedere al Consiglio di sicurezza una presa di posizione più netta e l’adozione di strumenti giuridici e militari più chiari ed efficaci. Il Ruanda e Srebrenica sono lì a ricordare come quello di omissione possa essere il peccato più imperdonabile per l’organizzazione preposta al mantenimento della pace e alla difesa dei diritti umani.

 

Giorgio Tonini, membro della segreteria del Pd, vicepresidente dei senatori
del Partito democratico