Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

I numeri che preoccupano Renzi non sono in Parlamento ma nei dossier economici

Redazione
La minoranza del Partito democratico abbaia ma non morde. La partita con Ncd sul ministero degli Affari regionali

Matteo Renzi non appare eccessivamente turbato per le polemiche che si sono aperte negli ultimi giorni in seno alla sua maggioranza di governo. L'offensiva "centrista" condotta da Azione popolare, rimasta scottata dal ridimensionamento subito nel governo non turba il presidente del Consiglio. Nel Nuovo Centrodestra come nell'Udc c'è chi lascia addirittura intendere una ritorsione sull'Italicum, quando questa legge approderà alla prova dell'Aula. E, comunque, più in generale, anche i big di Ap alzano il tiro, ricordando di essere fondamentali per la vita del governo: senza di noi Renzi non ha una maggioranza, dicono all'unisono.

 

No che non sia vero, ma Renzi sa perfettamente che i centristi non arriveranno mai fino in fondo. Anzi, forse, nemmeno fino a metà. Avendo parlato più volte con il ministro dell'Interno Alfano, il presidente del Consiglio ha spiegato ai collaboratori più fidati quali sono le ragioni che gli danno tanta tranquillità. "In realtà  - ha raccontato il premier - dentro il Nuovo Centrodestra si è aperta una divisione tra chi, come Angelino, ritiene che non sia opportuno mandare troppo per le lunghe la storia del ministero degli Affari regionali, chiudendola con un nome che non sia tra quelli che sono già usciti, in modo che non possa sembrare che io ho imposto a Ncd anche il ministro, e chi, invece, giudica un errore chiudere adesso questa vicenda. C'è infatti dentro il partito una forte spinta a tenerla aperta fino alle regionali. Pensano che chiudendola prima il Nuovo Centrodestra possa apparire troppo appiattito su di me, e che questo sarebbe nocivo in campagna elettorale".

 

Insomma, in poche parole, il premier sa che le polemiche dei centristi sul governo, in realtà altro non sono che polemiche interne che quindi non avranno nessun contraccolpo sulla stabilità del suo esecutivo e della maggioranza. Perciò Renzi attende che le cose facciano il loro corso e dentro di sé considera già chiusa la vicenda della ministero degli Affari regionali.

 

E, in verità, il presidente del Consiglio ritiene chiusa anche la "querelle" con la minoranza interna sulla riforma elettorale. Renzi sa benissimo che quando si riunirà il gruppo parlamentare della Camera dei deputati (intorno al 20 aprile), vi saranno ancora polemiche e prese di posizione "forti", ma è altrettanto sicuro che tutto, o meglio, quasi tutto si chiuderà lì.

 

Il che, ovviamente, non esclude che vi siano dei tentativi di imboscata in Aula, ma il premier ritiene che non andranno in porto. Sa che, alla fine della festa, avendo fatto lui dell'Italicum la madre di tutte le battaglie il Partito democratico non si potrà concedere il lusso di silurargli quella legge, proprio in campagna elettorale, perché le conseguenze sarebbero inevitabili. E questa non è una minaccia ma un'ovvia conclusione: il governo salterebbe e si andrebbe alle elezioni. Persino un presidente della Repubblica eletto da poco, infatti, non potrebbe non sciogliere le Camere perché nominare  un quarto governo nato senza il voto popolare sarebbe veramente troppo.

 

[**Video_box_2**]Anche i sondaggi riservati che il premier si fa sfornare settimanalmente sembrano contribuire al suo buon umore. Secondo queste rilevazioni, infatti, il Movimento 5 stelle è in flessione e anche Forza Italia è in calo, mentre sale, ma di poco, la Lega di Matteo Salvini. Insomma, la situazione appare sotto controllo. Avere un Pd che oscilla, a seconda delle settimane, tra il 38 e il 39 per cento, significa che, se vi fossero delle elezioni, il partito riprenderebbe la stessa percentuale delle elezioni europee, decimale in più, decimale in meno.

 

L'unica cosa a cui il premier deve guardare con attenzione è dunque la situazione economica e, con essa, i dati reali dell'occupazione. Sono quelli gli unici indicatori che Renzi controlla con apprensione, perché sono quelli i numeri da cui dipende la buona o la cattiva sorte del suo governo. I numeri della maggioranza in Parlamento, tutto sommato, non sono un problema, come continua a ripetere lo stesso presidente del Consiglio guardando i gruppi di Forza Italia e del Movimento 5 stelle che continuano a sfaldarsi.