Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Giudice a Strasburgo

Rocco Todero
Perché sarebbe una forzatura se la Corte europea non accettasse il ricorso del Cav. sulla Severino. Dalla sentenza Escoubet a quella G. Stevens, la sanzione “penale” retroattiva secondo Strasburgo.

Thomas Hobbes, uno che di sicuro non aveva fama di essere liberale, affermava che: “Se la pena è determinata e prescritta nella legge stessa e, dopo che il delitto è commesso, viene inflitta una pena più grave, l’eccesso non è una pena, ma un atto di ostilità”. E’ ciò che deve avere ragionevolmente pensato anche Silvio Berlusconi allorché ha deciso di presentare ricorso innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’applicazione della legge Severino e la decadenza da senatore comminatagli nel novembre del 2013. Nel momento in cui l’ex premier ha commesso il reato addebitatogli in via definitiva dalla Cassazione, la sanzione della decadenza non era prevista fra le pene da scontare per la commissione di quel delitto e dunque, in ossequio al principio di irretroattività della legge penale, egli non avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto dalla carica di senatore della Repubblica. Chi la pensa diversamente, invece, ritiene che la decadenza da senatore non debba essere intesa come una sanzione penale; la condanna rappresenterebbe in realtà una mera condizione ostativa all’assunzione della carica e alla permanenza nella stessa.

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo, tuttavia, ha sempre ritenuto che la nozione di pena contenuta nell’articolo 7 della Convenzione abbia natura autonoma, non essendo i giudici di Strasburgo vincolati dalle qualificazioni del diritto interno che hanno valore relativo (sentenza Escoubet v. Belgio, 1999), così il fatto che nell’ordinamento italiano la decadenza non sia rubricata come sanzione penale non assume alcun rilievo, anzi può ben essere considerata una “frode delle etichette” che la Corte non gradisce affatto.

 

Secondo i giudici di Strasburgo, infatti, “il punto di partenza di ogni valutazione sull’esistenza di una pena consiste nello stabilire se la misura in questione sia stata imposta a seguito di una condanna per un reato” (sentenza Welch v. Regno Unito, 1995). Sotto questo profilo non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che la legge Severino prevede la decadenza come effetto automatico della sentenza penale di condanna, sottraendo (legittimamente?) alla Camera cui appartiene il condannato persino la possibilità di accertare un eventuale fumus persecutionis.

 

Seguendo il ragionamento che la Corte europea ha inaugurato nel lontano 1976 (sentenza Engel v. Olanda), la decadenza dalla carica di senatore di Berlusconi dovrebbe avere buone probabilità di essere qualificata alla stregua di una sanzione penale in quanto assume un carattere gravemente afflittivo incidendo su un diritto politico di rango costituzionale. Numerosi precedenti dei giudici di Strasburgo, infatti, hanno ritenuto sanzioni penali, non applicabili retroattivamente, misure, come la confisca patrimoniale, che incidono su beni importanti tanto quanto le libertà politiche. La Corte costituzionale italiana ha, poi, riconosciuto che “dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, formatasi in particolare sull’interpretazione degli artt. 6 e 7 della Cedu, si ricava, pertanto, il principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. Principio questo, del resto, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost., il quale – data l’ampiezza della sua formulazione (‘Nessuno può essere punito…’) – può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile – in senso stretto – a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato” (sentenza 196/2010). Di recente, infine, nella sentenza relativa al caso Grande Stevens (marzo 2014), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito, ancora una volta, che anche le sanzioni pecuniarie e quelle che impongono divieti di assumere cariche nelle società di capitali devono essere considerate sanzioni penali, non applicabili, si può aggiungere senza tema di smentita, retroattivamente.

 

Ci sarà un giudice a Strasburgo anche per Silvio Berlusconi?