Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto LaPresse)

L'uomo invisibile

Mario Sechi
Con Mattarella però il mestiere del quirinalista si sta facendo pratica divina, vicinissima all’interpretazione freudiana dei sogni. Non parla e quando lo fa non dice (quasi) niente. Eppure se uno vuole capire che cosa sia la presidenza deve parlare proprio con i quirinalisti. Mettetevi nei loro panni - di Mario Sechi

In principio fu il Verbo. Fu un inizio di scarsa quantità, diciassette parole: "Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E' sufficiente questo". Anno 2015, 31 gennaio, giorno di San Giovanni Bosco, padre del “metodo salesiano”, è la data del “nuovo inizio” della Presidenza della Repubblica, di Sergio Mattarella, del Quirinale e dei quirinalisti, i giornalisti al seguito del Capo dello Stato. Per capire cosa è, cosa fa (e cosa non fa) un Presidente della Repubblica, bisogna seguirli, i quirinalisti. Sono gli interpreti ufficiali del Verbo, quelli che dopo aver auscultato ogni sospiro che sfugge dalle mura del Quirinale, ne incolonnano e certificano il significato. Questo, fino a ieri. Fino a quando Mattarella non è entrato nella fortezza che fu dei Papi. Quel Palazzo cambia i connotati (psicologici e non solo) di chiunque, basta dare un’occhiata all’organigramma della Presidenza, ai suoi uffici, servizi, unità speciali, per scoprire una verità costituzionale: siamo in presenza di un “sovrano” che (forse) non ha tutto il potere, ma i simboli della regalità sì, eccome. D’altronde, la storia è là, squadernata: il quartiere fu residenza della Gens Flavia, dei Claudi, del poeta Marziale, i Papi vi costruirono ville, fecero lavori, ampliamenti, restauri, Napoleone Bonaparte pensava di farne il suo quartier generale. Collis per eccellenza, il Quirinale. Oggi è casa Mattarella.

 

Sotto osservazione dei quirinalisti, penne acute, allenate a destreggiarsi tra le nuance di un discorso, pronte a cogliere la prossemica del potere, svelare i simboli esibiti e quelli nascosti. Con Mattarella però il mestiere di un tempo si sta facendo pratica divina, vicinissima all’interpretazione freudiana dei sogni. Mattarella non parla. Questo è il problema. E quando parla non dice (quasi) niente. Eppure, nonostante il silenzio, se uno vuole capire che cosa sia la presidenza Mattarella deve parlare a sua volta con i quirinalisti. Mettetevi nei loro panni. Devono scrivere e interpretare quello che non viene detto. Mission impossible. Da due mesi cercano di capire cosa frulli nella testa del Presidente. Troppo presto? Come non è mai troppo tardi, così non è mai troppo presto. E come loro, anche io sono curioso. Così mi sono messo a fare gardening, giardinaggio nell’orto dei quirinalisti. E allora, tra penne appuntite e disarmate, ecco emergere un dietro le quinte del Quirinale-Mattarellum da delibare con calma, da meditare. Loro, i quirinalisti, si ritrovano tra le mani la kriptonite dell’assenza, l’incubo di ogni cronista: il taccuino vuoto. La dichiarazione ufficiale, di tutti, è questa: “Il Presidente sta prendendo le misure con il nuovo incarico, ci vuole sempre un po’ di tempo per capire come interpretarlo”. Wonderful. E poi? Interpretare cosa? Alle spalle dell’ufficialità emerge il tratto della Presidenza, lo scarto con il predecessore Giorgio Napolitano, qualcosa di nuovo che in realtà ha un aroma antico: la democristianeria. Apro il taccuino, scorro gli appunti, si levano le voci dei quirinalisti a secco: “C’è una specie di paura dell’incarico”. Una specie, sì, ma forse non è paura, solo la “prudenza” felpata della Balena Bianca. Mai morta. Sempre là, pronta a emergere dagli abissi della politica italiana. O no? Continuo a leggere le note, gli sfoghi, le confessioni off the record: “Quando fa gli incontri con i politici, dallo staff ti dicono: il Presidente sta in posizione di ascolto. E tu sei qui, con il block notes vuoto e insisti: vabbé, ma avrà pur detto qualcosa? Avrà un’opinione. E loro replicano: il Presidente parla per atti simbolici”. Ah, il triste mestiere del quirinalista. Provateci voi, a fare la cronaca di questo muro di gomma. Obiezione vostro onore, non bastano gli “atti simbolici”? E’ andato alle Fosse Ardeatine, non è sufficiente? E’ tutto chiaro. Antifascismo. Resistenza. Altro che il partigiano Carlo Azeglio Ciampi e i ragazzi di Salò, non scherziamo. “Ha una logica minimalista e un po’ ipocrita…”. Zampilla la critica al grillismo del Colle, i viaggi in tram, il treno, l’aereo di linea, l’ansia di mostrarsi “normale” in una posizione che normale non è. E certo, si fatica a non vedere il problema, l’inconciliabilità con l’Alta Carica, con la retorica da risparmio che poi risparmio non diventa per ragioni operative, oggettive, è la realtà impiegabile e inspiegabile e buonanotte all’anticasta che fa politica scannandosi sugli scontrini. “Sta facendo un tour europeo e pure quello è interpretato in chiave minimalista, va in Francia e rientra in nottata, non dorme in albergo a Parigi, quasi fosse peccato. E invece dovrebbe fare di ogni viaggio un’occasione”. In che senso occasione? Spiegazione rapida: “Ciampi andava all’estero, coordinava tutte le istituzioni per fare della missione un’opportunità politica, economica e culturale. Ministeri, istituzioni, Confidustria. Tutti mobilitati. Qui è tutto un mordi e fuggi. Arriva a Parigi a Mezzogiorno, visita un centro spaziale, si collega con la Cristoforetti (detto tra noi, cheppalle! l’astronauta, ci parlano tutti), poi va alle sette all’Eliseo, cena con Hollande e riparte alle 10 della sera. Così ha fatto a Berlino. E lo stesso a Bruxelles. E’ scappato via. Ma se vai all’estero vorrai incontrare la comunità italiana, gli imprenditori? O no?”.

 

Sgusciante, Mattarella. Tutto un precipitarsi low-cost. E i quirinalisti? Osservano l’evoluzione, increduli. “La faccenda del treno e dell’aereo di linea? Un boomerang. A Firenze c’era un tram bloccato solo per lui. E il tram era sempre affiancato dalle pantere della polizia. E’ costato l’ira di dio lo stesso!”. E ora che arriva la primavera e poi l’estate… Cosa scriveranno i quirinalisti? Un tempo c’erano le sgargianti magliette Lacoste di Cossiga che facevano impazzire l’eminenza grigia Gaetano Gifuni, i cappellini e i binocoli da ammiraglio, roba da commander in chief, le esternazioni a getto continuo, gli “zombi coi baffi”, e poi i moniti di Napolitano dalla costiera, con l’elegantissimo Borsalino di paglia, bianco. L’estate è fonte di problemi. Fa caldo. Tra gli spiaggiati spunta l’alba mediterranea, il profilo neoclassico di un altro Palazzo presidenziale, Villa Rosebery. Mattarella vi soggiornerà o no? “Non si sa niente di quel che farà nei prossimi mesi! Chiedi: il Presidente andrà a Napoli a Villa Rosebery? Rispondono: non si sa. E che fa? La chiude? Sembra il Papa Francesco della politica”. Villa Rosebery, incastonata a Posillipo, un gioiello sul mare edificato nei primi anni dell’Ottocento dall’ufficiale austriaco Giuseppe De Thurn, brigadiere di marina per la flotta borbonica, residenza di Vittorio Emanuele III fino all’esilio nel maggio del 1946, patrimonio della Presidenza della Repubblica dal 1957. Un simbolo. Niente, pare imbarazzi. E poi, ora è in corso la campagna estera di Mattarella, non c’è tempo per pensare al programma estivo. “Ha l’ossessione di presentarsi, perché non lo conosce nessuno, questo si capisce…”. Ma i giornali sono alla canna del gas, i quirinalisti sembrano rabdomanti a caccia di una notizia nel deserto. In fondo il Presidente parla. Ma con i media internazionali. Notizie vere, poche, appelli vari e generici alla comunità internazionale, il mantra della “lotta al terrorismo”, poco altro. Nel vuoto, tutto fa brodo. Intervista alla Cnn con Christiane Amanpour. Chiacchierata amabile con Richard Heuzé, corrispondente per l’Italia del Figaro, dove si rassicura il popolo e l’Europa intera: “Il Presidente userà mezzi pubblici ogni qualvolta sarà possibile". Perbacco. Corriere della Sera, Repubblica, le corazzatone di carta ristampano senza entusiasmo e attendono, in coda, il lasciapassare per i loro cronisti. E così tutti gli altri. Todos caballeros, nel silenzio. Sul mio taccuino resta il presagio di un collega che di presidenti ne ha visti e raccontati parecchi: “Darà un’intervista al giornale che lo tratterà peggio”.

 

Riservato, Mattarella. Aneddoti di viaggio. “La prima volta che è andato a Palermo con il volo di linea, al ritorno era salito sul suo stesso volo un giornalista dell’Ansa. Durante il volo si alza, va vicino al posto del Presidente e si presenta. Sta per accennare delle domande, Mattarella lo guarda e sentenzia: ‘La ringrazio molto per la sua riservatezza, arrivederci’. Come puoi lavorare così? Ti cascano le braccia”. Esagerazioni, esasperazioni delle penne all’asciutto? Macché, questa è la fenomenologia mattarelliana. Stessa scena a Bruxelles, sempre l’indomito cacciatore di tartufi dell’Ansa, dopo aver battuto trenta righe di nulla va alla ricerca di un lancio buono per la sua agenzia, si fa sotto. Il dialogo è degno di un film di Monicelli. Quirinalista: “Permette una domanda?”. Presidente: “Sarebbe meglio di no”. Game over.

 

Disarmante, Mattarella. I quirinalisti di lungo corso sperano nella metamorfosi, possibilmente non kafkiana, ma nulla fa presagire il cambio di passo: “Dopo una sbornia di presidenti ciarlieri, per carità, ci sta pure un po’ di calma. Ma il problema è che quando parla, dice sempre le stesse cose, il minimalismo ostentato crea più casino che altro, la sua timidezza di fondo sembra paura di sbagliare”. In realtà qualche discorso l’ha fatto… “Sì, come no, ma è sempre tutto ovattato. E forse non è neppure opera del suo staff, è lui che permea la presidenza di se stesso. Il discorso che ha fatto l’altro ieri a Firenze, è tutto svolto con un lessico da vecchia Dc: non dice “corruzione”, ma “corrutela”. Sembra Leo Valiani, è un tuffo nel passato”. E’ un interessante sottosopra istituzionale. Siamo di fronte all’opposto di Renzi e del renzismo. Tanto è loquace e esposto il premier, tanto è silente e felpato il presidente. Difficile che scatti qualcosa di chimico tra i due. Tra le mie note di giardinaggio, i quirinalisti lasciano questa sul taccuino: “Di sicuro Renzi è rispettoso è prudente. Ma siamo a un rapporto completamente diverso da quello che c’era con Napolitano, il vecchio saggio che lo proteggeva e consigliava. Qui siamo di fronte a due personaggi che si guardano con curiosità, ma a debita distanza”. E poi, come dicono i suoi collaboratori, “il presidente è in posizione d’ascolto”. Niente indiscrezioni. Nessuna velina. Tutto tace. “Dicono: scordatevi i retroscena! Ma un giornale non può mica pubblicare le sue laconiche esternazioni. Noi dobbiamo spiegare ai lettori cosa succede!”.

 

I collaboratori di Mattarella sono il fulcro di tutto, non una squadra che fa lo spin a ogni costo, ma una guardia reale che sorveglia con discrezione ogni mossa. E’ fatta per sedare, non per agitare, per ammorbidire, non per rinforzare. La figura dominante, l’uomo più saggio e ascoltato da Mattarella è Gianfranco Astori, il consigliere per l’informazione. Giornalista, sociologia a Trento, cattolico, temprato in tipografia a La Discussione e al Popolo sotto la direzione di un uomo intelligente e colto come Gianni Pasquarelli, attento direttore dell’agenzia Asca, parlamentare nella Dc fin dai tempi del governo Goria. Astori per Mattarella è una confortante certezza nell’incertezza. Un osso duro per qualsiasi quirinalista a caccia di retroscena. E poi? Come in ogni treno in corsa, c’è il macchinista. La locomotiva è guidata dal nuovo segretario generale Ugo Zampetti, altro capitano di lungo corso, segretario generale della Camera per 15 anni (dal 1999 al 2014), una carriera cominciata all’università con il costituzionalista Leopoldo Elia. Molti pensano che la sua luminosa carriera fosse finita il giorno in cui lasciò la Camera, ma Zampetti è una figura rara, ha guidato Montecitorio con le presidenze di Luciano Violante, Pier Ferdinando Casini, Fausto Bertinotti, Gianfranco Fini e Laura Boldrini, un tasso così alto d’esperienza era pane prezioso per uno come Mattarella. Blindatura al titanio. Al Quirinale si ritrova un estratto di Dc che dal clangore del Novecento, dalla Prima alla Seconda Repubblica, s’è poi ritrovato proiettato nella Terza Dimensione Renziana, un mondo elettronico che fa del tempo reale, del social network e dello smartphone, la sola dimensione pubblica possibile. Non per Mattarella. Il profilo Twitter dell’Ufficio Stampa del Quirinale dal giorno dell’elezione è popolato da ben sei “cambi della guardia al Quirinale” e altrettanti concerti, senza dimenticare “gli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino”. Notizie? Dov’è la politica? Sono come la temperatura di Helsinki quando la tv andava in onda in bianco e nero: non pervenuta.

 

L’Uomo Invisibile, Mattarella. E’ accaduto a Palermo il 22 marzo scorso, chiesa di San Michele Arcangelo, ore nove. Il presidente della Repubblica è tra gli ultimi banchi della chiesa. Chioma bianca. Silenzio. Nessuno lo nota. Celebra messa il gesuita 86enne don Francesco Cultrera: “Non mi sono neppure accorto che c’era il Presidente della Repubblica in chiesa mentre celebravo la messa. Me l’hanno detto alla fine i parrocchiani”. Non lo sapevano neppure i cronisti. Il quirinalista mi guarda sconsolato. Si appresta a un altro viaggio con discorso ufficiale annesso: “Sai, ho un progetto”. Quale? “Diventare Vaticanista. Il Papa almeno parla”. La messa è finita, andate in pace.
Mario Sechi

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