Matteo Renzi (foto LaPresse)

Fenomenologia di un cazzone di talento

Giuliano Ferrara
Non l’ho letto ma mi piace, diceva Giorgio Manganelli. Non mi piace ma lo voto. E’ il succo di un pamphlet frizzante di Claudio Giunta su “essere #matteorenzi”. Dice meglio di me, questo professore e storico della letteratura insigne già a 40 anni, quello che dico io, che ne ho sessanta, nel mio “Royal Baby”.

Non l’ho letto ma mi piace, diceva Giorgio Manganelli. Non mi piace ma lo voto. E’ il succo di un pamphlet frizzante di Claudio Giunta su “essere #matteorenzi”. Dice meglio di me, questo professore e storico della letteratura insigne già a 40 anni, quello che dico io, che ne ho sessanta, nel mio “Royal Baby”: Renzi è un cazzone di talento, ed è l’erede assoluto di Berlusconi, il nemico dei tromboni di tutte le risme, alla fine per quel che vale me ne fido, ma l’analisi linguistica del suo essere o apparire suscita una forte opposizione estetica, uno snobismo insopprimibile. Io tolgo lo snobismo, che concepisco solo come reverse snobism, snobismo all’incontrario, e quindi dico nel mio piccolo pamphlet, di tanto inferiore a quello di Giunta, le stesse cose con amore, lui le dice con perfetto disamore. Ma la conclusione e la premessa sono più o meno le stesse.

 

L’autore di questo libello del Mulino, molto ben congegnato e scoperto per i nostri lettori e per me dal solito Mastro Ciliegia, ha quarant’anni come dicevo, e spiega: “Per un quarantenne è difficile avere fiducia in un altro quarantenne, più che altro perché, anche se seduti su sedie diverse, abbiamo visto più o meno lo stesso mondo. (…) Quando uno ha sessant’anni il mondo comincia a ridiventare incomprensibile, e allora si pensa che i più giovani abbiano la chiave non solo per interpretarlo ma anche per migliorarlo…”. La “Fenomenologia di Mike Bongiorno” di Umberto Eco ha rovinato le menti migliori della mia generazione e di quella che la precede. Ma non la mente di Giunta. Il quale sa che sta spernacchiando uno scout senza tenere conto del fatto che ha conquistato la presidenza del Consiglio in un’età inferiore a quella che aveva Benito Mussolini negli anni Venti del secolo scorso. E scrive conclusivamente: “Le osservazioni che precedono non hanno alcun rilievo politico, anzi non hanno proprio attinenza con la politica, riguardano solo il linguaggio”.

 

Giunta ricorre a un alter ego, un amico snob che è lui stesso sdoppiato, e gli fa dire la qualunque sulla leggerezza motivazionale di Matteo Renzi, da schiaffi, sulla sua inclinazione al pensare positivo, sulle regie aeree delle varie Leopolda, sul suo scoutismo e cristianesimo aperto e operoso (Baden Powell: “Uno scout sorride e fischia in qualunque circostanza”), sulle sue papere a proposito di “De Cervantes” che sarebbe come dire “Alessandro De Manzoni” o “Leone De Tolstoi”, sul suo inglese dalla pronuncia approssimativa per eccesso e per difetto (because detto “bicòz”), sulla sua devozione turistico-fiorentina per la cultura, combinata con un sovrano disprezzo per la mediazione degli intellettuali, sulla sua infinita capacità monologante di ridurre interlocutori giornalistici al ruolo di nerd incapacitati a fargli domande, sul suo selfismo che divide l’umanità in allegri e musoni e su mille altri dettagli, dall’orgoglio nazionale come lusso italiano alla spremuta di digital divide, e mille altre vere, sacrosante, importanti, radicali e al tempo stesso celebratissime stronzate. Con Alessandro Giuli, altro splendido quarantenne, qui si manifestò per tempo l’opposizione estetica a uno che “non è il nostro tipo”.

 

Nel frattempo però sono arrivati 80 euro a dieci milioni di lavoratori, l’articolo 18 è superato, il Senato è superato, la legge elettorale è in dirittura d’arrivo, il capo dello stato è eletto notaro senza drammoni ridicoli, a scuola non ci saranno più eterne supplenze, gli equilibrismi di politica estera e di sicurezza non sono infami, Confindustria Cgil e Studio Ambrosetti e Meeting di Rimini hanno avuto la loro mesata, lo standing del pupo nel mondo, se scusate la parola, è di buona qualità, di molto meno evanescente del sexy marxismo di uno Yanis Varoufakis, e più in controllo di conti pubblici e struttura dei problemi di un paese mediterraneo. E i tromboni sono definitivamente sfiatati, per ogni dove.

 

[**Video_box_2**]Giunta è parte di quella élite che non riconosce l’umiltà del male ben raccontata da Franco Cassano quando la sinistra e i moderati laici e cattolici antiberlusconiani stavano andando a sfracellarsi contro il muro della loro insipienza moralistica, non accetta fenomeni come il berlusconismo, attribuisce al Cav. difetti che non ha, come la compiacenza piccolo borghese, la bienséance, o modi attempati di comportamento. Non vede insomma l’identità assoluta di Renzi e del suo predecessore, il senza l’uno non c’è l’altro, la loro, come direbbe Claudio C., contemporaneità a sé stessi e al proprio mondo (pur con le ovvie differenze). Pazienza, non si può avere tutto dalla vita. Se uno come Giunta sa a memoria le Rime di Dante e del trobar clus non è detto che possa anche carpire i segreti di quella “brigata amorosa” di cui fanno parte, per la nostra felicità snobistica al contrario e per la nostra opposizione estetica, il Cavaliere e lo Scout, due stilnovisti coi fiocchi. Complimenti, comunque. Raro leggere un pamphlet ben scritto, raro vedersi superati con brio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.