Scontri a San Pietroburgo (Ansa) 

piccola posta

La rivolta delle madri in Daghestan smentisce i calcoli di Putin

Adriano Sofri

La mobilitazione "parziale" è già superata dai numeri dalla smobilitazione: gli uomini che fuggono dai confini della Russia. E ora le province periferiche, vessate dai reclutamenti maggiori, si ribellano. Una minaccia per il gradasso Kadyrov

I bravi giornalisti in esilio della Novaya Gazeta, citando una fonte anonima interna al Fsb, il servizio di sicurezza federale succeduto al Kgb, calcolano che fra mercoledì e sabato scorsi siano fuggiti dalla Russia 261 mila uomini. Se così fosse, la mobilitazione “parziale” di Putin, limitata ufficialmente a 300 mila uomini, sarebbe stata già superata dal numero di uomini che, già richiamati o temendo di esserlo, sono usciti dai confini russi: una smobilitazione. Di fatto, i reclutamenti avvengono largamente alla cieca, e continuando a prediligere gli stati e le province periferiche, ritenute meno in grado di minacciare il potere con la loro ribellione. Calcolo che sembra smentito dal Daghestan, nella cui capitale, Machačkala, finalmente la rivolta delle madri è esplosa. Dal Daghestan e dalla confinante Cecenia il reclutamento è dall’inizio molto maggiore che non dalla Russia delle metropoli (dieci volte tanto, si denuncia): e la ribellione dei due paesi, e degli altri della costellazione musulmana del Caucaso del nord, suona minacciosa per il gradasso Kadyrov. Gli stessi difensori ucraini rifiutano di chiamare col nome onorevole di ceceni i mercenari di Kadyrov, i “Kadyrovtsy”. Il cui paradossale rinnegamento è destinato prima o poi ad arrivare alla resa dei conti, e non è detto che non avvenga prima, grazie alla vergognosa guerra d’Ucraina e all’abuso che ne viene fatto. La storia, e il suo bagaglio di cupe tragedie, continua a sopraffare l’enorme territorio che fu dello zar e poi dell’Urss: fa impressione leggere degli uomini tatari di Crimea che il regime russo vuole oggi arruolare di forza contro l’Ucraina, e che cercano riparo in Kazakistan, quel Kazakistan in cui l’intero loro popolo fu deportato dall’Urss all’inizio della Seconda guerra. 

In appendice, copio un brano che Giovanni Dall’Olio ha citato da Telegram, sull’incontro di lunedì, a Sochi, sul Mar Nero, fra Putin e Lukashenka, il dittatore bielorusso: “Durante il pranzo, Lukashenka, in presenza di diverse persone, ha posto al presidente russo una domanda inaspettata: ‘Volodya, dimmi, quanto vivrai?’. Un Putin stupito ha chiesto il perché di questa domanda, Lukashenka ha risposto che far suonare le armi nucleari va bene quando è un bluff, e se non è un bluff, allora è un suicidio”. Non so quanto sia vero un simile aneddoto, che a prima vista sembra inverosimile. Ma succede che al proprio cameriere si permettano uscite sbarazzine. Quello che mi colpisce dell’aneddoto è l’intelligenza: se non è vero è benissimo trovato. E se quella canaglia di Lukashenka l’avesse detto davvero, avrebbe salvato l’anima sua – o quasi.

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