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Piccola posta

Disgrazia sbagliata. Amedeo Ricucci e i suoi posti scellerati

Adriano Sofri

La morte prematura di un "giornalista per vocazione". Fino all'ultima guerra: dall'Iraq al Kurdistan passando (con le parole) dall'Ucraina

Il soggiorno e le escursioni da Odessa mi hanno fatto reincontrare, o incontrare per la prima volta, alcuni degli inviati e degli operatori italiani che seguono la guerra d’Ucraina per le televisioni o i giornali. Benché sia una guerra condotta nel modo più indecente, è una palestra di esperienze, di conoscenze e di passione come poche altre in passato. Trovarsi in un punto dell’Ucraina non è affatto una condizione sufficiente per sapere e capire come vanno le cose, e io, come chiunque di voi a casa sua o nella sua vacanza, leggo e ascolto ogni giorno quello che hanno scritto e detto le altre e gli altri. Quelle e quelli di cui mi fido per ormai provata conoscenza, come Francesca Mannocchi, Daniele Raineri, Nello Scavo, Lorenzo Cremonesi, o perché sono le mie interlocutrici al giornale, o per frequentazione indiretta, come Andrea SceresiniCecilia Sala, o Marta Serafini e Angelo Nicastro (attenti alle questioni militari e balistiche, ma ieri hanno scritto lei del colore dei girasoli e del cielo, lui della composta di visciole – quello di Cechov era il giardino delle visciole).

 

Non vedo la tv, ma ho il piacere di ascoltare i racconti serali di inviate e inviati e operatori di passaggio dal luogo in cui sto: un vero privilegio, perché il minuto e 45 del servizio di telegiornale, quando va bene, può durare ore dal vivo, specialmente quando il coprifuoco non dà alternative. I giornalisti per vocazione (che siano iscritti all’ordine è una macchia per molti di loro inevitabile) hanno un modo insostituibile di intascare le cose e di allenarsi coi vicini, per raccontarle quando sarà da pensionati. Ieri è morto molto anzitempo uno di loro, Amedeo Ricucci, di cui ero diventato amico in molti posti scellerati e sventurati, le ultime volte in Iraq e in Kurdistan. Si era dovuto risparmiare questa Ucraina, ma non aveva rinunciato a spiegarla grazie alla sua frequentazione trascorsa e ai suoi saldi criteri.

 

Ho guardato i 40 minuti di intervista sull’Ucraina, con Angelo Greco, diffusa ieri, in gran parte un affaticato e appassionato monologo, un po’ allarmato dal titolo: “Quello che i media non dicono”. Ma è un’ennesima irrisione del complottismo e della gara a pensare con la propria testa senza averne una. Una rivendicazione di Euromaidan come “una rivoluzione di popolo”. Un ennesimo richiamo alla di Siria – lui vi era stato sequestrato, e aveva condotto la più inflessibile e amara indagine su padre Paolo Dall’Oglio: un mattatoio di 500 mila umani morti ammazzati e milioni di profughi, la manifestazione più spietata e indisturbata dell’espansionismo di Putin, la distrazione più cinica del nostro mondo. E’ morto in Calabria, dov’era nato, a Cetraro, di un cancro al fegato, a 63 anni, che disgrazia sbagliata.

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