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I due errori di Draghi nella corsa al Colle

Adriano Sofri

In Parlamento largamente composto da senzatetto e franchi tiratori per interesse e più ancora per meschinità, il presidente del Consiglio non poteva permettersi uno sbaglio. Ne ha commessi due

A reti ancora inviolate si può fare qualche considerazione su quello che è già successo. Un paio di mesi fa, prima che cominciasse la recita, immaginavo che Draghi fosse più ambizioso, per così dire, di un aspirante alla presidenza della Repubblica italiana. Mi sembrava che età e curriculum e dimestichezza con l’atlante lo mettessero al riparo e, caso mai, gli facessero desiderare qualcosa di più o qualcosa di meno. Mi colpiva intanto l’atteggiamento pressoché unanime di suoi fautori e suoi avversi: i casi di encomio servile superati da quelli di oltraggio invidioso e livoroso, i vincitori di lotteria cui era stato rubato il tagliando a metà incasso. Uni e altri sembravano credere, e sostenevano perentoriamente, che la scelta di restare a capo del governo o trasferirsi al Quirinale dipendesse solo da lui: forse sono riusciti a persuaderne lui stesso. Che così ha commesso, penso, due errori politici. (Mi fa ridere la storiella di chi è politico e di chi non lo è, compresa la rivendicazione del riscatto della politica – il correttore voleva scrivere ricatto – da parte di chi si fece strada gridandole vaffanculo: è politico, e non da oggi, Draghi, sono politiche le altre comparse del chiasso quotidiano, senza nemmeno pagarne lo scotto).

Il primo, umanissimo, errore di Draghi, ai miei occhi, è stato di desiderare di andare al Quirinale. Il secondo, la vera ingenuità, di lasciar trasparire questo desiderio, contraddicendo la sobrietà irritante che in lui sembrava far le veci dell’ipocrisia. Non aspettava altro, la scolaresca sgangherata messa d’un tratto in castigo. C’è un Parlamento largamente – ed effimeramente – composto di senzatetto e franchi tiratori per interesse e più ancora per meschinità. Impallinato Draghi, si sarebbe azzoppato governo e Quirinale. Impallinato ancora prima del fischio d’inizio: ecco un risultato che si poteva evitare. Cui ha contribuito anche la sciocchezza di credere, o fingere di credere, che la candidatura di Berlusconi andasse presa sul serio: cinque minuti supplementari per vivere di rendita. E adesso? Chi lo sa. Il programma massimo adesso è: metterci una toppa.

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