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La volgarità è la rinuncia allo stile

Adriano Sofri

I ragazzi sono certi che potranno liberarsene al momento giusto, con la pigrizia e le altre compromissioni, e scegliere il proprio modo di essere. Poi quel momento viene dilazionato e la maschera mangia la faccia che aspetta di rifarsi

Da ragazzi, quando si decide di sé – che grafia avere, far proprio un colore, se e come ridere eccetera – si sa che non si potrà mai adottare un linguaggio ridicolo che ammetta: gli intercalari inutili o pomposi, diciamo così, per così dire, in un certo modo, non è vero? insomma, così via, e così via; l’aggettivazione futilmente iperbolica: fantastico, pazzesco, incredibile, terrificante, allucinante e così via; l’accentuazione teatrale del tono, e soprattutto le esclamazioni: oh!, ahimé!, ah!, ebbene!, oh me tapina!. Poi, succede che questa cianfrusaglia occupi una gran parte del linguaggio, e quando capiti di parlare seriamente, con qualche imprevista foga sincera, o ufficialmente e in pubblico, si stenterà a non dare al proprio eloquio un andamento artificiale, troppo gridato, metallicamente apodittico, irragionevolmente irato. Si ammette leggermente la volgarità come un espediente provvisorio. È come doversi vestire bene per una cerimonia, e continuare a girarsi il dito nel colletto.  

La volgarità è la rinuncia allo stile. Poiché i ragazzi sono alla vigilia e sanno di poter essere in molti modi, maneggiano la provvisoria indefinitezza come un versatile trasformismo, per aderire agli altri e far loro il verso. Della volgarità, e della pigrizia, e delle altre compromissioni, sono certi che potranno liberarsi al momento giusto, come di altrettante scorze caduche, per tirare fuori il proprio frutto, scegliere il proprio modo di essere. Naturalmente, quel momento viene dilazionato e la maschera mangia la faccia che aspetta di rifarsi. Infine, si trova un accomodamento filosofico con la volgarità. 

Volgare si trova il caos che precede e accompagna i pensieri, che dapprima si attribuisce alla fanciullezza e all’adolescenza, cosicché studio e cultura porrebbero riparo alla confusione, ma non va così. Il fluire metodico e compiuto dei pensieri in parole, e il primato del pensiero su una congerie di altri pruriti e intrusioni, è effetto di una convenzione della scrittura e della logica. Si scommette che sia così per sé e per gli altri. Lo stile è una foglia di fico sulla verità informe e volgare del pensiero. Si esita, se stare al gioco o cercare di fare della volgarità il proprio stile. 

(Dagli anni 50 del secolo scorso). 

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