Henriette Browne, "Bambina che scrive", 1870 (Wikimedia Commons) 

piccola posta

C'è ancora qualcuno che tiene un diario?

Adriano Sofri

Uno vero, scritto solo per sé e nessun altro. Non come i social, per cui ci si offende se nessuno legge i nostri post. Ma il diario di una volta non aveva bisogno di essere sincero o artefatto, era le due cose insieme, era al riparo dal giudizio

C’è ancora qualcuna, qualcuno, che tenga un diario? Mi sembra improbabile, salvo un sovraccarico di lavoro: Twitter, Instagram, Facebook, TikTok e chissà che cos’altro. In queste sedi sociali compaiono piuttosto spesso notizie pensieri e faccine confidenziali, addirittura intime, specie di diari segreti in pubblico. Ma il diario è asociale, nel diario si scriveva, e si disegnava, e si infilavano foglie e fiori, riservandole gelosamente a sé e nessun altro. Una volta, tanti anni fa, sentii chiedere a una scolaretta che cosa ritenesse l’azione peggiore da parte dei compagni maschi. “Leggermi nel diario”, disse senza esitazione. La differenza sta qui.

Ora anche i grandi, specialmente i grandi, si offenderebbero se non si leggesse nel loro Facebook. Il diario (a parte quelli indirizzati ai posteri, pregiudicati dall’origine) stava al di qua delle scritture destinate a essere lette, dalle corrispondenze private fino alle pubblicazioni. Scritto per sé, almeno provvisoriamente, e per la propria futura memoria, non aveva bisogno di essere sincero o artefatto, era le due cose insieme, era al riparo dal giudizio. Scritto ora per le altre, per gli altri, gli “amici”, finge una sincerità, una franchezza, ma tenta chi lo scrive a dare il meglio di sé, e dal momento che il meglio di sé si misura con i giudizi altrui – like, faccine, ritweettamenti – a dare il peggio di sé. Nella disputa degli antichi e dei moderni, la questione del diario è forse decisiva. 

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