L'incendio di Notre Dame a Parigi nel 2019 (LaPresse) 

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Agonia della Chiesa? Non c'è un leader in Italia che non sia cattolico

Adriano Sofri

Qualche riflessione a margine del libro di Andrea Riccardi "La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo". Dalla Polonia, che si è tentati di pensare come a una versione cattolica dello Stato islamico, ai politici nel nostro paese

Lunedì 9 agosto Emmanuel Abayisenga, quarantenne profugo ruandese, ha assassinato in Vandea il missionario monfortano Olivier Maire, 60 anni, che lo aveva accolto (notizia tristissima, che ricordava l’uccisione di don Roberto Malgesini, il “prete dei poveri” di Como, nel settembre scorso, per mano di un migrante tunisino che aveva assistito). Il 18 luglio del 2020 Abayisenga aveva dato fuoco alla cattedrale gotica di Nantes, distruggendo l’organo maggiore. Avevo letto l’ultimo libro di Andrea Riccardi, “La Chiesa brucia. Crisi e futuro del Cristianesimo” (Laterza, pp. 256). Il titolo non è solo metaforico. Riccardi muove da una ricostruzione minuziosa della notte in cui bruciò la cattedrale di Notre-Dame, tra il 15 e il 16 aprile del 2019, e dell’emozione che suscitò. “L’incendio di un monumento così solido ha evocato la fine o la grave crisi del cattolicesimo che lo abita”.

La cronaca del resto offre una moltitudine di rimandi attuali. Ancora lunedì ho guardato la puntata de “Il fattore umano”, su Rai 3, dedicata alla “Polonia lgbtq Free”: credevo di saperne abbastanza, ma per la prima volta ho avuto la tentazione di pensare alla Polonia ufficiale come a una versione cattolica dello Stato islamico. Se non l’intero cristianesimo, certo la Chiesa cattolica ha fondato la sua presa più profonda e intima sul controllo insieme fanatico, ipocrita e ossessivo della sessualità, e oggi la perdita della sua presa è soprattutto il riflesso della liberazione femminile e sessuale. La Polonia – sproporzionatamente, certo – si divide in due società lungo questa linea di separazione.

Riccardi tratta dell’Ungheria di Orbán, e soprattutto della Polonia, come di esempi della reazione “nazionalcattolica” a una crisi della Chiesa forse terminale: quando cominciò a studiare la questione, scrive, “le democrazie cristiane erano il presente, e il nazionalcattolicesimo e il clericofascismo il passato: oggi è il contrario”. 

Non posso seguire qui un tema così impegnativo. Solo fare un’osservazione, sollecitata da una di Riccardi, che ricorda la presidenza del cattolico e già democristiano Sergio Mattarella, chiosando: “Non finisce tutto in un giorno”. In realtà oggi si può segnalare una specie di quadrilatero istituzionale e di influenza che va da Mattarella al capo del governo, cattolico praticante e formato nell’Istituto romano gesuita, alla ministra della Giustizia, reduce dalla prima presidenza femminile della Consulta e formata all’“amicizia” di don Giussani e di Comunione e Liberazione, integrata dal confronto teorico con il gesuita cardinale Martini, e infine al Papa Bergoglio, gesuita che ha eletto il nome francescano, dall’autorità civile comunque rilevante, benché, o forse perché gli viene attribuito (come già a Martini) il motto per cui “Dio non è cattolico” – “Oggi si è meno cristiani, ma forse anche meno anticristiani”, scrive Riccardi. E si può aggiungere che non c’è un solo leader dei partiti maggiori che non sia cattolico, lungo una gamma che va dal Rosario e dall’Immacolata del segretario della Lega, alla devozione della segretaria di Fratelli d’Italia – fratelli quasi tutti – e alla formazione e alle frequentazioni romane e vaticane di Giuseppe Conte, assiduo di Villa Nazareth e devoto di padre Pio. Perfino il meritevole generale Figliuolo si è raccomandato a Santa Rita.

Si può dedurne una sconfessione alla tesi dell’agonia della Chiesa cattolica. O, al contrario, una sua paradossale conferma. Interessante questione.

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