Giancarlo Coraggio, presidente della Corte costituzionale (Ansa) 

piccola posta

I costituzionalisti hanno sempre messo in guardia sul sistema elettorale

Adriano Sofri

Oltre virologi e immunologi, esiste un mondo di esperti lontani dalle luci della ribalta. Come i costituzionalisti: discutono di leggi elettorali da decenni e nessuno li ascolta

Ascolto Radio radicale a notte fonda, in replica, e nel meschino intento di addormentarmi. Dunque prediligo le registrazioni di convegni accademici di lunga durata, per non rischiare risvegli bruschi. Finisco per serbarne ricordi frammentari e trasognati, e anche rimpianti, come quando ci si ricorda di un tempo in cui si poteva ancora decidere che cosa diventare, bigliettaio tranviere, biologo marino, studioso di diritto comparato. La notte del Primo maggio si trattava di un dibattito (2 ore e 52 minuti) tenuto tre giorni prima sul tema: “Il sistema elettorale in senso stretto: quali prospettive in Italia?”. L’ospite, per conto della Sapienza romana, era Fulco Lanchester, gli intervenuti, Gaetano Azzariti, Nicola Colaianni, Matteo Cosulich, Carlo Amirante, Massimo Luciani, Pino Pisicchio, Massimo Siclari e, unica donna, con un piglio specialmente efficace, Lara Trucco, tutti docenti costituzionalisti o di dottrine affini, alcuni dei quali con un’esperienza parlamentare, o nell’apparato della Consulta, o nella magistratura. Tutti con una peculiare competenza sulle leggi elettorali, uno, Felice Besostri, con una reputazione di demolitore di meccanismi elettorali incostituzionali, qualcuno già militante del maggioritario. Qualcuno, Lanchester, segnala l’ipercinetismo compulsivo della legislazione sul tema, altri, Amirante, Luciani, complementarmente, l’ipocinetismo convulsivo. Tutti, mi è sembrato, persuasi che l’epoca di maggioritario e uninominale sia finita a vantaggio di un qualche proporzionale, tutti persuasi dell’ulteriore incostituzionalità delle cose, aggravata per i più dalla scempiaggine della riduzione del numero dei parlamentari nemmeno compensata, com’era promesso, da un adeguamento della legge elettorale. E suppergiù tutti (non uso l’asterisco, ma non ho dimenticato la professoressa Trucco, al contrario) certi della superfluità assoluta delle proprie competenze. Luciani l’ha detto in un tono memorabile: di queste cose parliamo e scriviamo da decenni, partecipiamo ad audizioni parlamentari, con un solo risultato: quello di non essere minimamente ascoltati. Eppure avevamo previsto con una certa precisione l’illegittimità costituzionale delle leggi successive. Dunque ragioniamo fra di noi – e così sia, più o meno. 


Si ascolta affascinati, come sempre quando si è ammessi in un luogo riservato ai cultori di una sapienza iniziatica con una sua lingua peculiare. Però con una differenza, perché la pandemia ha operato un salto di specie, portando alla ribalta la varia categoria dei virologi, immunologi, statistici sanitari eccetera, fuori dai suoi convegni e dalle sue riviste e dai suoi certami accademici all’ultimo sangue, con gli effetti ormai famigliari. E’ forse cresciuta la conoscenza media del pubblico sulle infezioni, i virus, i vaccini, i bei procedimenti della scienza che sperimenta e sconfessa, prova e riprova. Senz’altro si è impennata la conoscenza personale, intima direi, delle e degli scienziati, e l’inclinazione, umana umanissima, del pubblico a schierarsi per l’una o per l’altro, a fare il tifo (fare il tifo è bello, è epidemico). Succede ogni tanto. Coi terremoti, per esempio. Chi non ha scelto il suo sismologo di fiducia? Ma l’esposizione improvvisa degli specialisti non era mai stata così vasta e così durevole. Caso mai, ci si potrebbe chiedere come mai non sia bastata a spodestare per intero l’ubiquità degli specialisti di niente dunque di tutto, che hanno corso un gran rischio. Gioca a favore della loro sopravvivenza la litigiosità cattivante e infantile che l’esposizione dei nuovi si porta dietro: sono luminari, ma in fondo so’ ragazzi. 


Nei convegni come quello dei costituzionalisti sulla legge elettorale è in ballo la nota, notissima, versione italiana della pandemia democratica universale, e della nicchia primaria della democrazia che è l’Europa. Niente è noioso come i meccanismi elettorali, e l’astensionismo elettorale non è paragonabile (non del tutto, sebbene…) alla superstizione No vax. Dunque è improbabile che gli specialisti della Costituzione, del diritto pubblico, della rappresentanza e della responsabilità civile, ricevano un’attenzione pubblica e un tifo analoghi a quelli per i virologi. Ci hanno provato, alcuni, specialmente coi referendum, ma senza uscire dalle terze file, e con un esito decisamente contrario ai loro fini. Si voterà tappandosi il naso, che era un modo di prepararsi alla mascherina.


Del resto, ci si può consolare. Trasferiti sotto le luci della ribalta, questi convegni pieni di acute divergenze, rispettose sfumature, cordialità, scivolerebbero verso i duelli gladiatori. E confinati in spazi televisivi appositi assomiglierebbero a rubriche come quella: “Ascolta, si fa sera”. Meglio ascoltarli a tarda notte, e dormirci su. 

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