La riserva Dello Zingaro a San Vito Lo Capo, in Sicilia (Ansa) 

Piccola Posta

Il medico che mollò tutto per mettere insieme una cooperativa di pescatori

Adriano Sofri

Bruno Ferrero, da Torino a San Vito. E poi la riserva dello Zingaro e Scopello: memorie siciliane guardando “Màkari” in tv

Un paio d’anni dopo il ’68 il dottor Bruno Ferrero decise di lasciare Torino e andare a vivere a San Vito lo Capo. Era un primario, un chirurgo prestigioso e un docente, mollò tutto. Gli era piaciuto il movimento, ma lui aveva avuto i suoi vent’anni quando era il momento di stare con la Resistenza, e c’era stato. San Vito lo Capo aveva già le spiagge e le scogliere e le tonnare più belle del mondo, ma quasi nessuno se n’era accorto. Ferrero sì, e aveva un progetto: mettere insieme in cooperativa i piccoli pescatori del paese. Una rivoluzione culturale. Dapprincipio andò bene, lui stesso era un pescatore appassionato e metteva uno zelo di perfezione e di idealismo in quello che faceva, la medicina la teneva di riserva per curare gratis chi ne avesse bisogno. Il suo primo amico era un novantenne che a ogni alba e a ogni tramonto andava con la sua barchetta a remi a svuotare e ricollocare la nassa per le aragoste. Bruno e la sua compagna, Iti, abitarono prima in una casa piccola, in mezzo al paese, con una specie di soppalco protetto da una rete da pesca per gli ospiti; poi in una villa grande, col giardino, appena fuori. Per anni furono meta dei militanti giovani e squattrinati bisognosi di mare e di cene. Il sogno della cooperativa si infranse, Bruno riprese la professione in una clinica di Trapani facendosi una gran fama, e si dedicò con il solito impegno ad allevare cani da soccorso nei terremoti. Morì nel 2007, a 82 anni. 

 

 

Grazie a lui diventai di casa a San Vito e attorno, nella riserva dello Zingaro, poi definitivamente a Scopello, pensione Tranchina. L’iniziazione si completava con la frequentazione invernale. D’inverno, a Scopello, ci aggiungevamo in due alla trentina di resistenti locali: ora arrivano sì e no alla ventina. L’estate è rapallizzata e gremita di festival di libri, di couscous, di processioni e di arrampicatori montani e sociali, l’inverno è di freddo e di vento, bellissimo. C’è il presepio vivente nella grotta Mangiapane in contrada Scurati (che bei nomi, il mio preferito è Contrada Scimunazzi, cocomeri a perdita d’occhio), quest’anno è saltato, e anch’io. Lunedì però mi sono messo a guardare “Màkari” su Rai 1. Lettore antico di Gaetano Savatteri, sapevo che avrei rivisto le cave di Custonaci e la tonnara di Scopello coi faraglioni (quella malamente privatizzata, dirimpetto alla casa di Vincino), e il mare. Ero un po’ in pensiero: Montalbano ha spalancato la strada, ma i vicoli incombono. Saverio Lamanna è atterrato a Palermo, e il primo svolgimento non ha seguito quello del libro – ho ricontrollato, Sellerio ha appena ripubblicato le Quattro indagini a Màkari. Nel film lo aspettava, in braghette corte e infradito, Peppe Piccionello, per non farlo sentire solo e dargli un passaggio fino a Scopello. In corriera. Mi sono detto: è andata.

Di più su questi argomenti: