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Piccola Posta

Il ferroviere con la bandiera rossa e il treno in partenza verso l'avvenire

Adriano Sofri

A cent'anni dalla scissione, la Cineteca di Bologna ha pubblicato l’unico documentario girato in quell'occasione: “Uomini e voci del Congresso socialista di Livorno”. Una testimonianza modesta, ma che può insegnare ancora tanto

Giovedì 21, nel giorno centenario della conclusione del Congresso di Livorno, la Cineteca di Bologna ha pubblicato l’unico documentario cinematografico, “Uomini e voci del Congresso socialista di Livorno”, girato in quella occasione, e sopravvissuto senza alcuna indicazione sugli autori. (Brani del documentario erano inseriti sabato nel bel programma sul Congresso realizzato per Rai 3 da Ezio Mauro). Nello stesso giorno, 21 gennaio, è morta a Roma Cecilia Mangini, 93 anni, gran donna, regista e documentarista militante. Era stata lei a offrire e presentare il documentario nella manifestazione bolognese sul “Cinema ritrovato” nel 2004, riferendone le poche notizie. Secondo la ricostruzione di Mangini, rintracciata sui suoi appunti da Michela Zegna per la Cineteca, il filmato (muto, ora con le musiche di Daniele Furlati), due bobine in 35 mm per 34 minuti, era stato custodito gelosamente nel ventennio fascista da un militante comunista bordighista, capolega pugliese – non ne ricordava il nome. Lui lo regalò, “più o meno in punto di morte”, alla fine degli anni 40 o all’inizio dei 50, a Lino Del Fra, marito di Mangini e con lei e Lino Micciché (e Franco Fortini per il testo) autore nel 1962 dell’importante film di montaggio “All’armi siam fascisti!” Vedo che a una versione diversa rimandano altri, Calapà sul Fatto, o l’affidabile Michele Smargiassi: “Mangini le aveva scovate nelle cantine di una sezione del Psi romano una settantina d’anni fa”.

 

Questione attraente. Nella prima versione, non dovrebbe essere impossibile ricostruire l’identità di un capolega del foggiano bordighista tra il primo Dopoguerra e il secondo. Incuriosisce comunque che fosse andato in mano sua il filmato, montato ma non rifinito, e certo ispirato alla posizione unitaria della maggioranza finale del Congresso, e tutt’altro che simpatizzante per la frazione scissionista comunista. A meno che un colpo di mano bordighista avesse trafugato il filmato riformista, in quell’atmosfera da rubabandiera… Fra i protagonisti del Congresso, nella frazione scissionista, c’è Francesco Misiano, 37 anni, il famoso “disertore” della prima guerra fatto bersaglio di aggressioni fisiche in tante città d’Italia e d’Europa, che nell’Urss fonderà (ma solo nel 1924, per incarico del Soccorso operaio internazionale di Willi Münzenberg) la maggiore casa di produzione cinematografica sovietica, così che Paolo Virzì si chiede se non sia stato lui a ispirare il documentario livornese. 

 

L’intero archivio di Mangini e di Del Fra è depositato alla Cineteca, che ha restaurato il documentario e lo ha accompagnato con una presentazione dello storico Paolo Capuzzo, del direttore e animatore della Cineteca Gian Luca Farinelli, e appunto di Virzì, nella molteplice veste di uomo di sinistra, di regista e, forse soprattutto, di livornese. (Si è divertito a ricordare che la polizia fascista impegnata a spiare le telefonate e le comunicazioni dei congressisti, scontrandosi con la diserzione dei lavoratori livornesi, aveva dovuto ripiegare sui pisani). Il documentario, girato dal primo dei sei giorni di congresso, alterna immagini di massa all’esterno del teatro Goldoni a brevi comparse di notabili congressisti, in posa davanti alla telecamera o nell’atto di mimare gli interventi in una specie di set uguale per tutti, con delle piante alle spalle – e poche difficili immagini dell’interno, troppo buio. Figure e didascalie hanno spesso un’aria, sottolinea Virzì, quasi scanzonata o ironica, che contrasta con la drammaticità della partita congressuale e gli stessi toni accorati, esasperati, commossi e drammatici che si ricavano dallo stenografico degli interventi. (Fu pubblicato nel 1962 dalle Edizioni Avanti!, Livorno 1921, 487 pp.). Episodi che stettero fra il dramma e la sceneggiata, come la sfida verbale e colluttazione fisica fra Vacirca e Bombacci, sono risolti con una specie di cartone animato che disarma il temperino ostentato da Vacirca (“Rivoluzionario da temperino!”) e la pistola puntata dal bombastico Bombacci.

 

I congressisti, un migliaio, sono mostrati in gruppo, misti alla folla di tifosi e curiosi assiepata all’ingresso del Goldoni, oppure singolarmente, rare volte con le mogli. Donne delegate pochissime, fra loro la leggendaria Argentina Altobelli (ha 54 anni) alla tribuna della presidenza, nel gesto di placare gli animi. Molti sono i deputati, a ridosso dell’elezione del 1919 che ha fatto del Psi il primo partito alla Camera. Hanno quasi tutti il cappello, molti la barba e i baffi, e mediamente un aspetto serio quando non solenne. Sono di età matura – era un tempo in cui si diventava vecchi presto, e i giovani tenevano a sembrare uomini fatti. Alla presidenza del Congresso è Giovanni Bacci, 64 anni, deputato, alla fine sarà nominato segretario del Psi. La Federazione Giovanile aderirà in massa alla scissione: per lei saluta il Congresso Secondo Tranquilli, cioè Ignazio Silone. Saranno più giovani, a eccezione di qualche veterano illustre, i membri della minoranza comunista che usciranno il 21 dopo la scissione che ha sostituito la progettata espulsione dei turatiani: per loro ci sono pochi primi piani. C’è Umberto Terracini, avvocato, parla a nome dei comunisti puri.

 

E’ la loro vera relazione politica – Bordiga, il capo, farà il discorso della bandiera, si rivendicherà “sempre uguale a se stesso”, vanterà di aver fatto inserire la 21esima condizione della Terza Internazionale, l’ultima, per l’esclusione dei riformisti dal partito. Terracini ha 26 anni, l’età quasi esatta del cinematografo – che è nato nel dicembre 1895, lui nel settembre: elegante, la mano sottile, somiglia molto al Terracini davvero vecchio, stessa magrezza affilata. Ha una più lunga inquadratura, seguita da quella di un gruppo di contestatori che inveiscono veementi. Lo stesso gruppo che applaude entusiasta e abbraccia Costantino Lazzari dopo l’inquadratura che è stata riservata a lui. L’austero Lazzari, 64 anni – la stessa età di Turati, che evocherà la propria “vecchiaia” – padre della formula “Né aderire né sabotare”, già segretario del Psi fino al 1919, parla per i riformisti, mette in guardia dal sangue che incombe sul proletariato italiano e internazionale. E’ ripreso più volte Lazzari, anche “in famiglia”, con moglie e bambina. C’è Giacinto Menotti Serrati, vero protagonista sconfitto e triste del Congresso, nel tentativo di tenere assieme fedeltà alla Terza Internazionale e unità del partito italiano, contro “questa smania di scissura”. C’è “L’ing. Bordiga”, finalmente in una figura giovanile, ha 32 anni, regge con enfasi fogli manoscritti, ha cappello, cravatta, giacca e paltò col bavero di velluto: gli montano addosso un trio di delegati maturi, due uomini e una signora, che se la ridono con larghi gesti.

 

Su onde marine burrascose è sovrimpresso il titolo: Parla Bombacci. Che ha 41 anni e una faccia ispirata, carbonara, un po’ da Mangiafuoco. L’Ordine nuovo è filmato da fermo, come in una foto di gruppo, e anche così Gramsci non c’è. Gramsci a Livorno, rintanato nel suo palchetto, era uno che avrebbe voluto essere da un’altra parte, rassegnato alla constatazione che non c’era altra parte. Il numero del giornale che i torinesi espongono s’intitola sulla Camera che rinvia il dibattito sulle violenze fasciste. Ci sarà un passaggio impressionante, benché dissimulato come un’esemplificazione innocente, nel discorso di Bordiga: “Vi possono essere fra noi deboli, incapaci, incompleti, possono esservi fra noi dei dissensi: Gramsci può essere su una falsa strada, può seguire una tesi erronea quando io sono su quella vera, ma tutti lottiamo ugualmente…”.

 

L’“operaio meccanico onorevole Baccigalupi” è senza cravatta e senza colletto rigido, baffi corti e niente barba, la didascalia sceglie per lui la frase: “Nelle sezioni, meno bar e più biblioteche”. (Non risulta nell’indice dei nomi del Congresso). L’arguto Claudio Treves, inquadrato per dire la sua, dice: “Odio le frasi”. Per Egidio Gennari, segretario uscente del Psi e pronto a uscirne, c’è un elogio delle Tesi della Terza Internazionale. Emanuele Modigliani, deputato di Livorno, il fratello maggiore di Amedeo, ammonisce i nemici dell’unità. Elia Musatti (è il padre di Cesare), una figura da moschettiere, pronuncia la profezia più sensata e infondata, che fra un anno tutti quelli che oggi si dividono torneranno a unirsi. C’è il malaugurato delegato bulgaro dell’Internazionale, Kabaktceff: ha sostituito i grandi nomi, Zinoviev e Bukharin, cui è stato impedito di venire. Il documentario non nomina la scissione consumata, non mostra l’esodo piovoso verso l’altro teatro. Annuncia: “Il resultato”, e lo sbriga con una frase del deputato Francesco Barberis, torinese, 57 anni: “Il Congresso è stato il più grande, e si è svolto malgrado i dissidi, con risultato ottimo”. Mostra il cartello: Uscita, una massa indistinta nella piazza, “La fiumana” – una citazione del disegno speranzoso di Scalabrini sull’Avanti! del 17 gennaio, “Il fiume si divide in correnti, poi si riunisce e riprende maestoso il suo corso”.

 

E poi una locomotiva che parte sbuffando: dopotutto tutti devono prendere il treno per lasciare Livorno, e il treno riparte comunque verso l’avvenire, e il ferroviere resta solo, in posa con la sua bandiera rossa in mano, e l’interrogativo: “A quando?”. E finalmente si inquadra il sole sul mare, il sole dell’avvenire, forse – chissà che ora è. Il filmato serve soprattutto a fare conoscenza, o migliorarla, con gli attori di un periodo cruciale della storia italiana, con le loro facce, l’abbigliamento, l’atteggiamento: diversamente da com’era con le fotografie e le caricature, dal momento che qui si muovono, e sia pure spesso cercando di somigliare a se stessi in fotografia, o recitando per la camera un’enfasi retorica di cui un po’ si vergognano un po’ si divertono. Nella sua modestia, il documentario insegna molto. All’università studiai questi argomenti, l’Ordine Nuovo, Bordiga e la guerra, il congresso di Livorno. I documenti audiovisivi erano meno disponibili, e soprattutto in genere eravamo meno disposti noi, gli studenti, gli stessi studiosi, a cercarli. Eravamo snob, sotto sotto continuavamo a pensare che la storia si facesse sui libri e sulle carte, e quegli altri mezzi fossero affare di giornalisti. Se non fosse stato per la differenza forte, che molti dei protagonisti di allora erano ancora vivi e si potevano incontrare – ne incontrai infatti, fra loro Alfonso Leonetti e Pia Carena, Lina Misiano, episodicamente Togliatti e più da vicino e frequentemente Terracini – il mio modo di studiare i consigli di fabbrica torinesi non sarebbe stato molto diverso da quello di chi studiasse la Dieta di Aquisgrana.

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