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Cuba torna fra gli stati sponsor del terrorismo. La mossa pretestuosa di Trump

Adriano Sofri

In quella lista figurano Iran, Siria e Corea del nord (il Sudan ne è uscito). Un’altra mina piazzata sotto i piedi di Biden e che è probabile contribuirà solo ad accentuare la rigidità del regime

Fra i colpi di coda di Trump e Pompeo è arrivato il ripristino dell’inserimento di Cuba nella lista nera degli stati “sponsor del terrorismo”, dalla quale la presidenza di Obama l’aveva estratta nel 2015. In quella lista figurano Iran, Siria e Corea del nord (il Sudan ne è uscito). Fra le motivazioni, o i pretesti, della misura, c’è il sostegno cubano al regime di Maduro, e anche il Venezuela è candidato a finire in lista. La decisione contro Cuba è un’altra mina piazzata sotto i piedi di Biden, che già aveva espresso la propria contrarietà all’indurimento delle sanzioni economiche voluto da Trump nei mesi scorsi nei confronti dell’Avana. E’ anche una specie di colpo di grazia contro il regime cubano, che aveva appena attuato, dal 1° gennaio, e proprio puntando sull’imminente avvento di Biden, la più grossa e arrischiata riforma finanziaria ed economica, abolendo la doppia valuta, il Cuc, il peso convertibile, riservato alle transazioni con gli stranieri e ai prodotti di importazione, e il Cup, il peso cubano, per lasciare in vigore, entro il prossimo giugno, solo il peso cubano, a un cambio ufficiale di 1 a 24. La riforma lungamente rinviata e temuta per i suoi contraccolpi sui prezzi e sui sussidi pubblici era entrata dunque in vigore a ridosso di una crisi pesantissima, provocata dalla pandemia e dal crollo del turismo, che copre una parte ingente nell’economia dell’isola. Nella quale un’altra quota ingente spetta alle rimesse in dollari dei cubani dagli Stati Uniti, a loro volta colpite dalla chiusura decretata da Trump delle oltre 400 filiali della Western Union attraverso cui avvenivano. Trump e Pompeo hanno spinto le misure contro Cuba fino all’estremo della imputazione di terrorismo, rendendo impervio ogni cammino a ritroso che Biden volesse compiere. 

  
Il regime cubano è tutt’altro che un modello di democrazia, e proprio in questo periodo si è trovato di fronte a una più vasta e risoluta mobilitazione di artisti e intellettuali, riuniti nel circolo di San Isidro, contro la censura di personalità libere e dissidenti, alternando mezze aperture e repressioni intere. Ma la definizione di stato patrocinatore del terrorismo è pretestuosa e, tanto più per il momento in cui avviene, cinica. Ed è del tutto probabile che valga ad accentuare la rigidità del regime cubano, come mostra la storia infinita dell’embargo contro l’isola. 

   
Postilla nostalgicamente divertita: nel 1959 la guerriglia trionfò sul regime di Batista e dovette affrontare la costruzione di uno stato e della sua economia. Fidel Castro tenne una riunione dei più fidati combattenti rivoluzionari e chiese se ci fosse fra loro un economista. L’unico ad alzare fieramente la mano fu Ernesto Che Guevara. Detto fatto, Fidel lo designò capo del dipartimento dell’industria. All’uscita dalla riunione, il Che chiese all’amico come gli fosse venuto in mente di nominarlo a quel posto. Hai alzato la mano, replicò sorpreso Fidel. E il Che: “Avevo sentito male, che avessi chiesto non se c’era un economista, ma un comunista”. Non si è mai saputo se l’aneddoto fosse vero o, probabilmente, benissimo trovato, fatto sta che le prime banconote della Cuba rivoluzionaria portarono la firma del presidente della Banca nazionale, Ernesto Che Guevara.

   

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