ANSA / MATTEO BAZZI 

Piccola Posta

Note a margine del bel libro di Mario Calabresi sul terribile caso Saronio

Adriano Sofri

Nel suo "Quello che non ti dicono", il giornalista non fa mai riferimento al mio nome. La stampa sì. Alcune precisazioni su un evento tanto tragico quanto discusso

Mario Calabresi ha pubblicato un libro dedicato a Carlo Saronio:Quello che non ti dicono (Mondadori). In presentazioni e recensioni si è fatto il mio nome e quello dei miei amici e compagni, perciò ho deciso di malavoglia di leggere il libro, che non lo fa. Saronio aveva 26 anni a Milano, era un giovane idealista di una famiglia molto ricca, si affidò a una comunanza rivoluzionaria ai margini della clandestinità armata, ne fu tradito per una miserabile avidità. Nell’aprile 1975 una banda di militanti politici già vicini a Potere Operaio, criminali “comuni” mezzo adepti della militanza politica, e criminali solo criminali, rapì Carlo Saronio per ricavarne il riscatto e lo uccise mentre cercava maldestramente di addormentarlo con un tampone imbevuto di toluolo. Riuscì comunque a ingannare la famiglia e incassare un sostanzioso riscatto, e si fece prendere presto con le mani nel sacco, alcuni mentre contavano banconote a Lugano sotto gli occhi dei passanti, altri che le dilapidavano in vacanze di mare.

 

L’amico più stretto di Saronio, il suggeritore del colpo, diventò il prototipo del cosiddetto pentitismo italiano. Nelle cronache del tempo si accreditò la versione secondo la quale lo stesso Carlo Saronio sarebbe stato a parte del progetto e dunque vittima di un mero incidente di percorso: ma non era facile credere che il coautore del proprio rapimento venisse cloroformizzato, oltretutto a morte. La vicenda era stata ricostruita e raccontata nel 2008, con una deliberata freddezza, da Antonella Beccaria, “Pentiti di niente” (Stampa Alternativa), sulla scorta di un’ingente mole di documenti giudiziari: ho appena letto anche questo libro, che si trova gratuitamente in rete. Calabresi racconta piuttosto la storia terribile e sconvolgente del lutto di due famiglie, quella di origine di Saronio e quella della donna da lui amata e della loro figlia nata otto mesi dopo la sua morte, che lui non seppe di aspettare.

 

 

E di un altro membro della famiglia che era stata troppo ricca, missionario in Algeria, ispiratore del lavoro di Mario Calabresi, e capace di affrontare le grettezze e le cattiverie dei suoi pur di ricongiungere la memoria di Carlo, suo cugino, con quella della compagna di allora di Carlo e della loro figlia, Marta. Il libro di Calabresi è molto bello, e la libertà dolorosa e affettuosa che ne è venuta alle due donne scalda il cuore di ogni lettore, e certo il mio. Se potrò, tornerò al modo in cui noi di Lotta Continua seguimmo e sentimmo, pubblicamente e ciascuno per sé, la storia terribile di Carlo Saronio. Si legò tortuosamente a quella di un nostro giovane e amato militante di Reggio Emilia, Alceste Campanile, perché fra le molte e inconcluse ipotesi che si fecero dopo il suo assassinio, compiuto nemmeno due mesi dopo la morte di Saronio, si disse anche che fosse stato testimone dell’occultamento del riscatto del suo rapimento e perciò eliminato: niente lo confermò.

 

Non so dire che cosa confermi la confessione che un quarto di secolo dopo venne da un fascista, criminale comune, mafioso e confidente, che sostenne di aver ucciso Campanile e trovò tribunali disposti a credergli. A quel tempo il disgraziato padre di Campanile, in rotta con la famiglia, fra esasperazione e affarismo arrivò ad accusare Lotta Continua. Questo dunque: resta il mio nome evocato nel contesto della storia di Saronio dall’autore del libro, che mi chiama “ideatore e mandante morale” dell’uccisione di suo padre, 48 anni fa, ciò che la mia condanna lo autorizza sì e no a dire, e ignorando che negherò non solo finché vivrò, prospettiva ormai molto rimpicciolita, ma oltre. Evoca anche la difesa delle “carriere”, Calabresi. Si può sbagliare. La vicenda di Saronio e delle persone che ne sono state toccate è terribile come poche. Per esempio, l’accusa a Lotta Continua, e a me personalmente, di essere stati gli autori dell’assassinio di Mauro Rostagno – in combutta con le sue persone più care – mossa durante i nostri processi da un avvocato in nome della parte civile, compreso Mario Calabresi.