Giuseppe Pinelli (foto Wikimedia Commons)

I romanzieri dell'anarchia

Adriano Sofri

Un bel dossier di “A, rivista anarchica” su Giuseppe Pinelli e un singolare libro del catanese Antonio Di Grado

“A, rivista anarchica”, ha nel suo numero datato a novembre un dossier, “ennesimo”, su Giuseppe Pinelli, curato da Paolo Finzi. Contiene cose vecchie e nuove, e nuove cose vecchie. La lettera di Pinelli al ragazzo Faccioli in carcere, spedita il giorno della strage, ad annunciare il dono dell’antologia di Spoon River, il pomeriggio che Pinelli andò in questura in motorino: “L’anarchismo non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo nemmeno subirla: è ragionamento e responsabilità e questo lo ammette anche la stampa borghese, ora speriamo che lo comprenda anche la magistratura”. Ci sono le pagine di Claudia e Silvia figlie, la grafia affettuosa di Licia. Il ritratto di Finzi, “Il mio Pino”, attento ad allontanare il fantasma della vendetta. L’illustrazione del progetto Pinelli presso il Centro Studi Libertari / Archivio Pinelli di Milano svolta da Nicola Del Corno, Lorenzo Pezzica e Marcello Flores. Il memorabile racconto dei Funerali di Pinelli di Franco Fortini. La conversazione con Paolo Pasi sulla sua biografia di Pinelli uscita per Elèuthera. E le “Canzoni da una finestra” raccolte da Alessio Lega. Voglio aggiungere a questa raccomandazione il titolo, lontano da cronache e anniversari, di un singolare libro del catanese Antonio Di Grado, “L’idea che uccide. I romanzieri dell’anarchia tra fascino e sgomento”, ed. Nerosubianco 2018. Di Grado ha una scrittura critica magistrale e partecipe, che attraversa la grande letteratura fra secondo Ottocento e Novecento: “Due spettri atterriscono il borghese della seconda metà dell’Ottocento: l’adultera e l’anarchico”… Si legge la sua vertiginosa traversata arrivando a irritarsi e impermalosirsi, perché sembra pretendere che il lettore conosca la miriade di autori e testi evocati, e perché pretende di stanare un movente anarchico pressoché in tutti, anche quando siano finiti uomini (donne quasi mai) d’ordine. Ma il bello è là: i libri non letti ma illuminati di sbieco finiscono in un promemoria del lettore, insieme all’insinuazione che non si dia vera letteratura senza l’ambivalente richiamo dell’anarchia. Finisce alla collina di Spoon River l’inventario, “dove dorme, e nel grande sonno sospira e si agita ancora, il meglio di noi”.

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