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Sognare un mondo senza carceri

Adriano Sofri

Pensare che esista una redenzione per tutti, anche senza dovere passare una vita dietro alle sbarre, è un modo di vivere

Il New York Times Magazine aveva ieri un lungo saggio su Ruth Wilson Gilmore, una donna impegnata da trent’anni all’abolizione della prigione. L’abolizionismo della galera ha una lunga e illustre storia, ignorata dai più, intoccati dal pensiero che le invenzioni umane – il carcere come lo conosciamo è un’invenzione piuttosto recente – non siano immutabili condizioni di natura. Gli Stati Uniti hanno una popolazione carceraria colossale, due milioni e 300 mila persone effettivamente detenute – il record del mondo - in gran maggioranza di colore e povere, e restano attaccati ad abitudini affettuose come la pena di morte e la passione per le armi da fuoco.

 

Il resoconto del giornale comincia dalla discussione improvvisata fra la signora Wilson Gilmore, 68 anni, e un gruppo di ragazzini, che le chiedono aggressivamente come possa pensare a una pazzia come l’abolizione della prigione, con la violenza e i delitti che succedono in giro. Infatti, i ragazzini possiedono già saldamente le idee ricevute, ma sono meno resistenti all’eventualità di metterle in discussione. Sanno immaginare, se ne hanno l’occasione. Non riassumo il saggio, qualcuno, Ristretti Orizzonti o magari Internazionale, avrà voglia di tradurlo. Mi fa piacere segnalarlo oggi, quando ci incontriamo per ricordare Massimo Bordin. Uno degli interpellati, James Forman jr., è un giurista e scrittore che vinse il Pulitzer con un libro su delitto e castigo nell’America nera (2017), uno studio sulla storia della carcerazione di massa negli Usa.

 

Forman dice di essere diventato abolizionista strada facendo: “Quello che mi piace dell’abolizione, ed è questo che intendo quando mi dico abolizionista, è l’idea di immaginare un mondo senza prigioni, e a partire da lì darsi da fare per costruire quel mondo”. Fra i problemi che queste persone militanti sollevano c’è naturalmente la condanna a vita “without parole”, che corrisponde al nostro maledetto ergastolo ostativo, e può valere a sostituire la pena di morte ma finisce per essere una pena di morte protratta senza speranza. La Campagna per una Giustizia intelligente dell’Unione americana per le libertà civili, la più vasta mai lanciata, si propone intanto di dimezzare il numero dei detenuti attraverso riforme che vanno dal livello federale a quello statale a quello locale. Voglio dire che l’abolizione non è un programma massimalista, è un proposito, un modo di pensare, che orienta ogni passo contro il feticcio, la superstizione e la voluttà della galera. Dopo tanti anni di crescita ininterrotta – ecco un campo in cui la crescita è sempre garantita – per la prima volta si è registrata una piccola riduzione, dovuta per il 40 per cento alla sola California, che fu obbligata ad affrontare così il sovraffollamento. Ma “fra il 1982 e il 2000 la California costruì 23 nuove prigioni e nello stesso periodo accrebbe la popolazione detenuta nelle prigioni di stato del 500 per cento”. Chissà se daranno mai un’occhiata, se non alle idee, ai numeri, i nostri costruttori di nuove prigioni – almeno a parole. Cattedrali di carcerieri nell’anima: gerarchi minori.

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