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Due parole sulla sentenza di Bologna

Adriano Sofri

"Tempesta emotiva" è una forma duttile, buona per le guerre mondiali e per la guerra personale di un uomo a una donna

Diversi sentimenti ha suscitato in me la sentenza d’appello di Bologna. Dovrei leggerla, ma l’osservazione secondo cui i messaggi che avevano eccitato la gelosia dell’uomo erano “innocenti” suona raccapricciante. E la “tempesta emotiva” suona assai simile al caro vecchio raptus. Su Repubblica un’esperta psicologa ha spiegato che la “tempesta emotiva”, che il giudice prende dalla perizia, scientificamente non esiste. Segnalo però una coincidenza. A Trieste, al Civico museo della civiltà istriana fiumana dalmata, è in corso dal 7 febbraio una mostra sulla Grande Guerra intitolata: “Follie. Scappare dalla guerra, rincorrere la guerra”. Una scheda sull’euforia di chi allora, su ogni fronte, partì volontario, scrive proprio così: “Gruppi di ragazzi si sostenevano a vicenda nel comune intento. In ogni nazione questi gruppi ebbero caratteristiche diverse, sia sociali che culturali; tutti però presentavano una vera ‘Tempesta emotiva’, una follia giovanile totalizzante”. Un formula duttile, la tempesta emotiva, buona per le guerre mondiali e per la guerra personale di un uomo a una donna, alla donna.

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