L'anatra Trevor smaschera l'ipocrisia di chi osteggia le migrazioni

Adriano Sofri

“Razzista io? Ma se ho un amico frocio. Un amico negro. Un’amica anatra”

Arriva ogni giorno una notizia per definizione commovente, un caso di cattiveria da deplorare o, meglio, di bontà da lodare, e si può scommettere che sarà domani l’argomento dei rubrichisti dal volto umano. Ieri si poteva scommettere sulla morte di Trevor, l’anatra selvatica, un germano, uccisa da un cane nell’atollo corallino di Niue, Pacifico meridionale, uno scoglio senza acque correnti né stagnanti. L’anatra Trevor era l’unica dell’isola ed era arrivata trasportata da chissà quale tempesta, come un piccolo principe, a mille miglia da qualsiasi posto abitato. In realtà Niue si trova a 2400 km a nordest della Nuova Zelanda ed è abitata da 1600 umani, che erano stati sorpresi dall’arrivo di quell’unico esemplare, che aveva deciso di restare, insediato in una specie di pozzanghera e presto promosso a beniamino dell’isola. Naturalmente non è chi non veda la metafora sulla quale noi rubrichisti ci accaniremo, il germano migrante né per una guerra né per economia, climatico forse, e così solo. Non c’è stato, a quanto leggo, un partito a Niue che abbia cercato voti gridando all’invasione delle anatre selvatiche. Del resto il vero sogno dei nemici dei migratori non è la cancellazione totale, è l’accoglienza di uno, solo e senza rischio di prolificare. Uno da nutrire, da fotografare, di cui poter dire ad alta voce: “Razzista io? Ma se ho un amico frocio. Un amico negro. Un’amica anatra”.

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